club letterario JANE AUSTEN genova
ragazze amanti della lettura leggono un libro ogni due mesi e poi ne parlano insieme. Il gruppo è chiuso, le serate sono solo per le iscritte al Club
mercoledì 27 agosto 2025
23 SETTEMBRE - TUTTO E' MERAVIGLIA - ANN NAPOLITANO - BIRTHDAY #12 -PALAZZO ROSSO
Hello Beautiful is an exceptional character study with great compassion and care. The characters are so wonderfully conveyed that they burrow their way under your skin. The narrative examines how people can support each other during struggle and build a meaningful life. The novel is a celebration of familyhood and friendship during the difficult times.
sabato 12 luglio 2025
22 LUGLIO - STONER
Home Recensioni libri
RECENSIONE: Stoner (John Edward Williams)


Stoner

La trama
moreStoner è il racconto della vita di un uomo tra gli anni Dieci e gli anni Cinquanta del Novecento: William Stoner, figlio di contadini, che si affranca quasi suo malgrado dal destino di massacrante lav...
– Perfetto –
Stoner è il romanzo perfetto. Almeno per me. John Williams descrive la vita di un uomo mediocre, che non si allontana mai da casa e a cui sembra non succedere nulla. Un’esistenza ordinaria: infelicemente sposato, non riesce a instaurare un rapporto con la figlia. Ha pochi, anzi, un solo amico ed è praticamente un estraneo per i suoi genitori che non l’hanno mai compreso.
Chi mai scriverebbe un romanzo su un uomo di mezza età senza ambizioni, sogni e avvenimenti degni di nota? Come è possibile rendere perfetto un romanzo con queste premesse? Williams ha creato un capolavoro con Stoner. Ma come dice Cameron nella prefazione, la verità è che si possono scrivere libri bruttissimi sugli argomenti più avvincenti e bellissimi su quelli che non promettono nulla di buono.
Un racconto ricco di dettagli, proprio come piace a me. Viene descritto il mondo universitario e la storia degli Stati Uniti nei primi anni del secolo. Madre, moglie, figlia e amante ruotano intorno a Stoner che, nonostante l’amore per loro, non riuscirà a costruire un rapporto soddisfacente con nessuna.
Si ritrovava a chiedersi se la sua vita fosse degna di essere vissuta. Se mai lo fosse stata. Sospettava che alla stessa domanda, prima o poi, dovessero rispondere tutti gli uomini. Ma si chiedeva se, anche agli altri, essa si presentasse con la stessa forza impersonale.
Il professore è un incompreso, ma è anche un uomo che subisce gli eventi senza nemmeno provare a cambiarli . “C’è un po di Stoner in ognuno di noi”, almeno a volte e in determinati periodi della vita. Però, il protagonista qualche certezza ce l’ha.
L’amore per la letteratura, per il linguaggio, per il mistero della mente e del cuore che si rivelano in quella minuta, strana e imprevedibile combinazione di lettere e parole, di neri e gelidi caratteri stampati sulla carta, l’amore che aveva sempre nascosto come se fosse illecito e pericoloso, cominciò a esprimersi dapprima in modo incerto, poi con coraggio sempre maggiore. Infine con orgoglio.
Chi ama la letteratura, le storie intense fatte di dettagli che superficialmente possono anche sembrare insignificanti e i romanzi di formazione, non potrà restare indifferente di fronte alle gesta di questo “eroe della normalità”.
Stoner è…
Perfetto. Vi chiederete come si fa a consigliare un libro in cui non succede praticamente nulla. Secondo me però, in questo libro succede tutto. La trasformazione del protagonista, i suoi pensieri, le sue remore, le sue mancate prese di posizione rendono Stoner così reale che, durante la lettura gli ho rivolto la parola, gli ho consigliato cosa fare e l’ho implorato affinchè prendesse una strada piuttosto che che un’altra. Sul finale non ho potuto fare altro se non commuovermi perchè sì, quel professore a tratti mi ha fatto indispettire, ma non ero pronta a dirgli addio.
lunedì 7 aprile 2025
IL GIORNO DELL'APE - 27 MAGGIO
Ogni componente di una famiglia infelice è infelice a modo suo. Si potrebbero riassumere così, storpiando una citazione abusata, le seicentocinquanta pagine circa di Il giorno dell’ape, quarto libro di Paul Murray, scrittore irlandese cinquantenne, appena uscito in Italia per Einaudi nella traduzione di Tommaso Pincio. Ma sarebbe un torto al romanzo di Murray, che arriva nelle librerie italiane corroborato da un travolgente successo nel mondo anglosassone: Il giorno dell’ape è stato uno dei libri più belli dell’anno scorso secondo Bret Easton Ellis, il New York Times e il New Yorker, oltre che uno dei sei romanzi finalisti al Booker Prize e il vincitore del più prestigioso premio letterario in Irlanda nel 2023.
Riassunto meno sintetico: ll giorno dell’ape è ambientato nel ventunesimo secolo e descrive le disperazioni e le gioie della famiglia Barnes, stimatissima nel paesino di campagna dove vivono i suoi componenti, a due ore di macchina da Dublino. I Barnes sono Dickie, il pater familias, proprietario del concessionario di auto Volkswagen leader nella zona, ereditato da suo padre e sponsor della squadra locale di calcio; sua moglie Imelda, bella quanto fatua, Miss Irlanda mancata, partner fedelissima, accumulatrice dagli occhi verdi di tavoli di modernariato e capi d’alta moda; Cass, la figlia maggiore, adolescente con un bernoccolo per la letteratura e dolori di crescita, in procinto di andare al Trinity College (come l’autore, come Sally Rooney); e PJ, il figlio minore, potenziale geniaccio, descritto dalla sorella “come il canotto a forma di animale di un bambino che andava alla deriva nel mare aperto”. Vivono in una bella casa, con stanze per tutti e un bosco pieno di scoiattoli sul retro, Dickie e Imelda hanno aperto le danze al loro matrimonio ballando “Wonderwall”.
Un rassicurante romanzo borghese? Proprio no. Le cose esplodono in fretta: gli affari del concessionario di auto di Dickie vanno sempre peggio, il mercato crolla. Lui smette già dopo pochissime pagine di “dire che la situazione sarebbe migliorata. Sapevano quanto era grave; l’intero paese sapeva. Al termine della messa Dickie veniva avvicinato da anziane che gli dicevano di aver recitato una novena per lui in particolare e per l’industria automobilistica in generale. Altri si tenevano alla larga, come se il fallimento potesse essere contagioso”. Iniziano le spese alla Lidl di mattina presto per non incontrare i vicini pettegoli, le svendite online degli oggetti di casa, i debiti, l’ecatombe dei piani per l’avvenire.
giovedì 30 gennaio 2025
I GIORNI DI VETRO - NICOLETTA VERNA - 1 APRILE 2025
Redenta è nata a Castrocaro il giorno del delitto Matteotti. In paese si mormora che abbia la scarogna e che non arriverà nemmeno alla festa di San Rocco. Invece per la festa lei è ancora viva, mentre Matteotti viene ritrovato morto. È così che comincia davvero il fascismo, e anche la vicenda di Redenta, della sua famiglia, della sua gente. Un mondo di radicale violenza – il Ventennio, la guerra, la prevaricazione maschile – eppure di inesauribile fiducia nell’umano. Sebbene Bruno, l’adorato amico d’infanzia che le aveva promesso di sposarla, incurante della sua «gamba matta» dovuta alla polio, scompaia senza motivo, lei non smette di aspettarlo. E quando il gerarca Vetro la sceglie come sposa, il sadismo che le infligge non riesce a spegnere in lei l’istinto di salvezza: degli altri, prima che di sé. La vita di Redenta incrocia quella di Iris, partigiana nella banda del leggendario comandante Diaz. Quale segreto nasconde Iris?
mercoledì 13 novembre 2024
21 GENNAIO 2025 - "DUE" DI ENRICO BRIZZI PRESSO CAFFE' CAMPETTO VICO SAN MATTEO 17R
Siamo nell’anno domini 1992, in una calda Bologna di inizio estate. Finite le lezioni presso l’odioso liceo classico Caimani – dove gli insegnanti di “letteremorte” odorano di muffa e anche le bidelle assomigliano a guardie pretoriane – Alex D. è in piena bufera esistenziale.
La ragazza che ama, Adelaide – detta Aidi – è appena partita per uno scambio culturale nella lontana Pennsylvania (Usa). Ci rimarrà un anno. Lo strappo è forte e lo sta dilaniando. Sono stati mesi duri quelli che Alex si è lasciato alle spalle, pregni di avvenimenti dolorosi e sconvolgenti. La perdita di Martino, compagno di scuola e amico fidato, morto suicida sotto il peso di una quotidianità cui non sapeva dare un senso, lo ha segnato nel profondo.
È il momento giusto per schiodarsi dal divano, smettere di fissare il soffitto e lanciarsi in un interrail – sogno proibito della sua generazione – per le vie di un’Europa che sta ridisegnando la propria geografia, in rinnovato fermento dopo il crollo del muro di Berlino. Non può mancare all’appello il gruppo in cui orgogliosamente milita: Alex è il bassista delle Anatre di Central Park, una band “post-punk con venature ska e new wave. In pratica un cross over” con l’ambizione di affermarsi sulla scena underground e di realizzare un feat con Manu Chao.
È questo l’avvio di Due, sequel di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, il piccolo gioiello pubblicato dalla casa editrice Transeuropa che nel 1994 lanciò il diciannovenne Enrico Brizzi, dando l’abbrivio alla sua carriera: un “Giovane Holden” in salsa emiliana presto diventato iconico sia per l’uso sperimentale postmodernista della lingua, che impastava slang giovanile e dialetto, cultura pop e tradizione, sia per l’efficacia della rappresentazione del mondo degli adolescenti.
Due è il racconto della vita di Alex e Aidi durante la lunga stagione del loro “arrivederci”: una storia di amicizia, famiglia, affetti, incontri importanti e insperati. Il tutto sulle note di una fantastica colonna sonora che riunisce il meglio della musica suonata in quegli anni. È proprio il caso di dirlo – qui la musica non è un semplice sottofondo contestualizzante: è essa stessa parte del narrare, entra nella prosa attraverso rimandi continui, citazioni, riferimenti multisensoriali.
Due è un romanzo che – in virtù di un uso “alternativo” della punteggiatura che abbatte le differenze tra registro scritto e comunicazione orale – si presta moltissimo a essere recitato a voce alta: del resto Brizzi ha sempre amato i reading letterari e in questi giorni sta girando con l’accompagnamento di alcuni musicisti per festeggiare i trent’anni del suo libro d’esordio.
Due piacerà a chi ha amato Jack Frusciante, a chi nel 1994 si è immedesimato nei teneri approcci alla vita adulta dei protagonisti, a chi ha pianto sulla morte insensata di Martino – anima bella e tormentata – e a chi ha percepito il profumo del vento che scompigliava i capelli “del nostro”a cavallo della bicicletta, mentre dalla “Saragozza avenue” si inerpicava per i colli bolognesi, in cerca di intimità con Aidi.
Due sono anche le voci in campo: Adelaide – che confida le sue insicurezze a un diario – e Alex che raccoglie su supporto magnetico il resoconto del suo vivere fuori dagli schemi.
A fare da contrappunto, qua e là compare il narratore esterno: un cantastorie che, con affetto, segue i ragazzi, li scruta silenziosamente, a volte un po’ ne compatisce la goffaggine o l’inesperienza, non lesinando commenti che fanno sentire il lettore, cui si rivolge direttamente, coinvolto nella piega che stanno prendendo gli eventi.
Il sequel è coerente e non fa rimpiangere l’opera cui si aggancia, la completa e anzi la valorizza. Il finale prescelto non cerca una morale facile, è quello più funzionale alla riflessione sul senso dello scrivere che permea il percorso esistenziale di Alex e forse anche del suo ideatore.
Non mancano i rimandi alla letteratura e alla poesia, da e.e. Cummings ad Arthur Rimbaud, passando per Robert Frost e Henry David Thoreau, amalgamati sotto forma di dialoghi o flussi di coscienza: sono pennellate preziose, che ci restituiscono la tridimensionalità degli attori in scena, incompleti come sanno essere i giovani (lo diceva pure Italo Calvino), ma non per questo privi di sfumature dell’anima e profondità di ragionamento.
Concepire un “secondo tempo” – che raccontasse la storia di Alex e Aidi “cresciuti”, i fallimenti sentimentali e professionali, le amicizie troncate o coltivate, le occasioni perse e i successi ottenuti – avrebbe avuto un che di scontato: Enrico Brizzi non è banale e si tiene lontano dalla tentazione del romancee dai toni esageratamente nostalgici.
Sosteneva John Lennon che “la vita è quello che ti succede mentre sei occupato a fare altri progetti”: Brizzi tiene la barra dritta rispetto al plot originario e sceglie di mettere su carta – al posto delle inevitabili amarezze di un quarantenne – la bellezza imperfetta dell’adolescenza. Un tempo e un luogo sospeso, disseminato di montagne russe emotive, in cui tutte le prospettive restavano aperte e la distanza tra il dolore più inconsolabile (quel “double–decker bus”che ti stritola per lo struggimento, di cui cantava Morrissey) e il desiderio di tornare a essere felice (l’inno I Will Survive di Gloria Gaynor) era proprio questione di un attimo.
Brizzi è nato a Bologna nel 1974 ed è autore di numerosi romanzi e racconti. Il suo esordio nel 1994 (Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Finalista Campiello 1995, Premio Bergamo 1995, Premio Fregene Giovani 1996) – tradotto in oltre venti Paesi – è diventato un caso editoriale che ha influenzato un’intera generazione. La successiva produzione è quanto mai eterogenea: va dalla saggistica alla biografia, passando per la regia cinematografica, la musica e i resoconti di viaggio, a piedi e in bicicletta.
Il libro in una citazione
«Nel tardo giugno dell’anno domini uno nove nove due – da qui si riparte – il vecchio Alex giaceva in ruina, ridotto all’ombra tardo-adolescenziale di se stesso. Non filava più come il vento, puvràtt, e nemmeno osava azioni timide alla moviola; sospirava spento e nascosto al mondo, ecco cosa, nella penombra della sua cameretta a casa D., in fondo alla Saragozza avenue di Bologna.»
lunedì 11 novembre 2024
12 NOVEMBRE - LA NEVE IN FONDO AL MARE DI MATTEO BUSSOLA
- Scoprire la profondità della tristezza di un figlio, a neanche sedici anni, è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato. In cui proprio non dovrebbe esserci.
- Che vuoi dire?
- Tipo, non so. Come trovare la neve in fondo al mare.
Matteo Bussola racconta un nodo del nostro tempo: la fragilità adolescenziale. Scrive una storia toccante, piena di grazia, sul tradimento che implica diventare sé stessi. E ci mostra, con onestà e delicatezza, quel che si prova davanti al dolore di un figlio, ma anche la luce dell’essere genitori, che pure nel buio continua a brillare. Perché è difficile accogliere la verità di chi amiamo, soprattutto se lo abbiamo messo al mondo. Ma l’amore porta sempre con sé una rinascita.
Un padre e un figlio, dentro una stanza. L’uno di fronte all’altro, come mai sono stati. Ciascuno lo specchio dell’altro. Loro due, insieme, in un reparto di neuropsichiatria infantile. Ci sono altri genitori, in quel reparto, altri figli. Adolescenti che rifiutano il cibo o che si fanno del male, che vivono l’estenuante fatica di crescere, dentro famiglie incapaci di dare un nome al loro tormento. E madri e padri spaesati, che condividono la stessa ferita, l’intollerabile sensazione di non essere più all’altezza del proprio compito. Con la voce calda, intima, di un padre smarrito, Matteo Bussola fotografa l’istante spaventoso in cui genitori e figli smettono di riconoscersi, e parlarsi diventa impossibile. Attraverso un pugno di personaggi strazianti e bellissimi, ci ricorda che ogni essere umano è un mistero, anche quando siamo noi ad averlo generato.