mercoledì 26 novembre 2014

prossimo incontro 20 gennaio 2015

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Blindness - Cecità Blindness (2008) Fernando Meirelles..png Julianne Moore nel trailer del film. Titolo originale Blindness Paese di produzione Canada, Brasile, Giappone Anno 2008 Durata 121 min Colore colore Audio sonoro Rapporto 1,85:1 Genere drammatico Regia Fernando Meirelles Soggetto José Saramago (romanzo) Sceneggiatura Don McKellar Produttore Niv Fichman, Andrea Barata Ribeiro, Sonoko Sakai Fotografia César Charlone Montaggio Daniel Rezende Musiche Marco Antonio Guimarães Scenografia Matthew Davies, Tulé Peak Costumi Renée April Interpreti e personaggi Julianne Moore: moglie del medico Mark Ruffalo: medico Gael Garcia Bernal: barista/re della corsia 3 Danny Glover: uomo con la benda sull'occhio Alice Braga: donna con gli occhiali scuri Yûsuke Iseya: primo cieco Don McKellar: il ladro Sandra Oh: Ministro della Salute Doppiatori italiani Roberta Greganti: moglie del medico Fabio Boccanera: medico Emiliano Coltorti: barista/re della corsia 3 Angelo Nicotra: uomo con la benda sull'occhio Domitilla D'Amico: donna con gli occhiali scuri Massimo Lodolo: il ladro Sabrina Duranti: Ministro della salute Blindness - Cecità (Blindness) è un film del 2008 diretto da Fernando Meirelles. Il soggetto è tratto dal romanzo del 1995 Cecità di José Saramago. Blindness debuttò come film d'apertura al Festival di Cannes del 2008 e uscì poi nelle sale negli Stati Uniti nell'ottobre dello stesso anno. Indice 1 Trama 2 Produzione 3 Distribuzione 4 Note 5 Altri progetti 6 Collegamenti esterni Trama Un uomo, mentre è fermo a un semaforo alla guida della sua automobile, diventa improvvisamente cieco. Bloccatosi, crea un ingorgo e attira l'attenzione di numerosi passanti. Uno di questi si offre di aiutarlo guidandogli la sua macchina fino a casa. Il gesto, apparentemente generoso, si scoprirà essere la premessa per il furto della stessa auto. La cecità ha colpito quell'uomo in maniera improvvisa e istantanea e ha la caratteristica di presentarsi non come un'assenza di luce ma al contrario proprio come un chiarore uniforme e perenne. Tornata la moglie, l'uomo viene accompagnato subito da un oculista che non trova spiegazioni all'accaduto e lo rimanda a un consulto il giorno seguente. A casa, l'oculista è come sconvolto e dopo una notte quasi insonne, alla mattina annuncia alla moglie di essere diventato anche lui cieco. La moglie non raccoglie i consigli del marito di allontanarsi, datosi il sospetto del carattere contagioso di questa strana cecità, e quando il marito viene prelevato a casa con le premure riservate a chi non deve essere avvicinato senza precauzioni, lei lo segue e per potergli stare vicino si finge cieca. La cecità sta effettivamente dilagando e le autorità hanno deciso di isolare i contagiati in strutture sicure. Il medico e la moglie sono così i primi ospiti di un ex ospedale che via via dovrà accogliere solo ed esclusivamente gli affetti da questa inspiegabile malattia. I degenti dovranno autogestirsi e l'unico contatto con l'esterno risulterà la consegna dei pasti, mentre per chi solo si avvicinerà alle uscite è stato dato ordine ai militari di guardia di sparare. Nella prima corsia occupata si ritrovano molti dei pazienti che il medico ha avuto nel suo ultimo giorno di visite, e inoltre anche il ladro che ha rubato l'auto al primo cieco. Quest'ultimo, per aver allungato troppo le mani, viene ferito dal tacco a spillo di una ragazza che continua a indossare gli occhiali scuri prescritti per curare la congiuntivite di cui soffriva prima di diventare cieca. Le condizioni igieniche del posto finiranno per condannare l'uomo ferito, nonostante gli sforzi del medico e di sua moglie. Quest'ultima, senza aver mai palesato il suo stato di vedente, si sobbarca un lavoro immane cercando di mantenere un minimo di decenza per sé, per suo marito e per i suoi compagni di sventura. Con il passare del tempo l'impresa diventa quasi impossibile. Gli ospiti della struttura aumentano a dismisura e la sporcizia e il caos hanno il sopravvento. Il cibo è sempre meno e gli occupanti di una camerata si organizzano assumendosi l'incarico di ritirarlo e distribuirlo/razionarlo loro. Dapprima fanno razzia di ogni prezioso, poi non avendo più nulla da depredare, decidono di consegnare il cibo solo a quelle corsie che avranno offerto le proprio donne al loro piacere. Dopo alcune resistenze di ordine morale, la fame ha il sopravvento e, per il bene di tutti, anche nella corsia del medico, parte delle donne si offrono al turpe scambio. Tra queste sua moglie, la moglie del primo cieco e la ragazza dagli occhiali scuri. Nell'incontro/stupro una donna particolarmente debole resta uccisa e la moglie del medico medita vendetta. Così durante un successivo "incontro" con le donne di un'altra corsia, la moglie del medico, armata di forbici, uccide il capo della cricca di malavitosi stroncando l'insopportabile baratto ma innesca una possibile e pericolosa escalation di violenza. Quando un'altra donna appicca un incendio proprio nella camerata degli aguzzini, sterminandoli, tutto l'edificio va a fuoco. Costretti a fuggire i ciechi scoprono che i cancelli sono aperti e le guardie non ci sono più. Sono tutti diventati ciechi e l'intera città, e forse il mondo intero, sono in preda alla totale anarchia. La moglie del medico è presumibilmente l'unica vedente rimasta, e lo spettacolo che può ammirare non è invidiabile. Sporcizia e abbandono, morte e sciacallaggio di ogni tipo; l'umanità, persa la vista, sembra essere regredita a uno stato selvaggio. Non c'è elettricità, acqua corrente, niente di niente, solo caos. I ciechi si spostano in piccoli gruppi a caccia di quel poco cibo che ancora si può scovare in negozi o case abbandonate. Un piccolo gruppetto di sette ciechi, usciti dall'isolamento, si avventura nella città sotto la guida della moglie del medico. Dopo aver audacemente trovato da mangiare e aver passato la prima notte in un negozio, i sette si dirigono a casa del medico. Questa è restata fortunatamente com'era, e così, anche grazie a un'abbondante pioggia che regala l'acqua necessaria per pulirsi, i sette possono finalmente darsi una sistemata e fare anche una cena "quasi normale", concedendosi persino un brindisi con una bottiglia di "preziosissima" acqua frizzante. Il mattino seguente, improvvisamente, così come l'aveva persa, il primo cieco riacquista la vista. La speranza che l'incubo della cecità sia finito fa esplodere di gioia tutti quanti. La moglie del medico guarda fuori, alza gli occhi al cielo e vede tutto bianco. Li abbassa e vede la città. Lei ha sempre visto e continua a vedere. Produzione Riprese a San Paolo nel Brasile I diritti per il romanzo di Saramago dal quale è tratto questo film, sono stati ottenuti dopo non pochi sforzi[1] . L'autore era restio a concederli temendo che i temi trattati, contenendo anche violenza, stupri e brutalità, potessero finire "nelle mani sbagliate". Nel 1999 furono il produttore canadese Niv Fichman e lo sceneggiatore Don McKellar a vincere le resistenze dello scrittore portoghese che pose precise condizioni riguardo al fatto che non si sarebbe dovuto specificare in quale paese si svolgesse la vicenda[2], e che il "cane delle lacrime", personaggio minore della seconda parte della storia, dovesse essere un cane grande.[3]. Il brasiliano Meirelles, che da tempo aveva in mente di portare sullo schermo questo romanzo, al quale fu affidata la regia, fu così libero di ambientarla al presente. Nel romanzo è imprecisata anche la collocazione temporale anche se verosimilmente è collocabile tra gli anni '60 e '90 al massimo. Quanto al set per gli esterni si optò su San Paolo per il fatto che al pubblico statunitense, così come quello europeo, risulta essere una metropoli poco conosciuta, dunque difficilmente individuabile. Alcune scene sono poi state girate anche a Montevideo e a Guelph nell'Ontario, oltre che nella città di Osasco che fa parte dell'area metropolitana di San Paolo. Distribuzione Blindness è stato presentato a Cannes come primo film in concorso il 14 maggio 2008. Nel corso della successiva estate vi sono state altre premiere in vari Paesi del mondo e in altri due festival: il Toronto Film Festival e l'Atlantic Film Festival di Halifax. Il 3 ottobre 2008 è uscito nelle sale degli Stati Uniti e nelle settimane e mesi seguenti in tutto il resto del mondo. In Italia il film è stato distribuito direttamente in Blu-Ray-DVD il 1º giugno 2011.[4] Note ^ Reed Johnson, Eyes wide open to a grim vision in Los Angeles Times, 27 gennaio 2008. ^ Martin Knelman, Even non-TIFF movies got deals in Toronto Star, 17 settembre 2007. ^ Cannes Q&A: Fernando Meirelles (abstract) in The Hollywood Reporter, maggio 2008. URL consultato il 20-05-2008 (archiviato dall'url originale il 2008-05-18). ^ Il Blu-Ray di Blindness - Cecità

proposte del 25 novembre "and the winner is.... Cecità"

Clarice Lispector "vicino al cuore selvaggio" Grossman "col corpo capisco" Fuga "lo zaino di Emma" Marcelo Figueras "kamchatka" Anilda Ibrahimi "rosso come una sposa" JC Izzo "il sole dei morenti" kawakami "la cartella del professore" a. chiamamanda "metà di un sole giallo" Faulkner "l'urlo e il furore" Saramago "cecità"

martedì 25 novembre 2014

25 novembre: giornata contro la violenza sulle donne

Per un italiano su tre, la violenza domestica sulle donne è un fatto privato da risolvere dentro le mura domestiche, per uno su quattro se una donna resta con il marito che la picchia diventa corresponsabile della violenza. Sono alcuni dei dati desolanti che emergono dalla ricerca Rosa Shocking. Violenza, stereotipi... e altre questioni del genere, realizzata da Intervita con il supporto di Ipsos. Ed è certo uno shock scoprire che ancora il 32% degli intervistati si dichiara d'accordo o "neutro" di fronte a una affermazione come "se un uomo viene tradito è normale che si arrabbi al punto da diventare violento". Percentuali di accordo/neutralità simili si leggono per le affermazioni secondo cui gli uomini diventano violenti per il troppo amore, o secondo cui per evitare di subire violenza le donne non dovrebbero indossare abiti provocanti. Stereotipi triti, luoghi comuni secolari che sembrano duri a morire, di cui evidentemente non è possibile sbarazzarsi con qualche immagine di donna dal volto tumefatto e con gli slogan – tutti uguali – che dicono no alla violenza sulle donne in occasione della Giornata mondiale del 25 novembre. Ma non deve sorprendere più di tanto. Perché la radice del problema sta nella serie di risposte che riguardano il matrimonio (“il sogno di tutte le donne” per circa un uomo su due), la famiglia (per sette intervistati su dieci è più facile per una donna che per un uomo fare dei sacrifici), la casa e i figli (un intervistato su tre ritiene che la maternità sia l’unica realizzazione per le donne). Quando si dice che la violenza è un fenomeno culturale si intende proprio questo: il sostrato che la alimenta è fatto di rappresentazioni della disponibilità femminile: affettiva, materiale, sessuale. Disponibile è qualcuno o qualcosa di cui ci si può servire, in vari modi. Ed è così che sono troppo spesso rappresentati e interpretati in Italia i ruoli femminili di moglie, amante, madre. Complici anche le politiche governative, quando per esempio premiano con 80 euro le mamme in quanto mamme, senza una visione che riguardi i nuovi ruoli che possono svolgere i padri nelle famiglie, o il rapporto con il mondo del lavoro e il sistema dei servizi. Se non si coglie questo nodo profondo tra violenza e vita quotidiana, moltiplicare ogni anno gli eventi del mese di novembre contro il femminicidio non serve a granché. Se la violenza sulle donne si riduce alla conta delle uccise, alle immagini di occhi neri e corpi nudi rannicchiati in un angolo buio, e intanto i progetti e i soldi per l’educazione di genere nelle scuole restano nei cassetti, non fa che rinsaldarsi quell’immagine di donna subalterna e fragile, bisognosa di protezione, che è alla radice dello stesso sistema secolare di diseguaglianze. - See more at: http://www.pagina99.it/news/commenti/7549/Giornata-mondiale-violenza-donne-25-novembre.html#sthash.ldMXWSpI.dpuf

venerdì 14 novembre 2014

le lune di giove

“Le lune di Giove” di Alice Munro (traduzione di Susanna Basso, ed. Einaudi) Come spesso accade nella produzione narrativa di Alice Munro, a dare il titolo a tutta la raccolta (ripubblicata da Einaudi nel 2010, comprende racconti appartenenti a momenti diversi della carriera dell’autrice) è uno dei racconti, in particolare l’ultimo, forse il più emblematico, che tocca trasversalmente i temi di tutti gli altri. Credo che il lettore che si accosti per la prima volta alla narrativa della Munro possa essere colpito innanzitutto da due elementi: il primo riguarda l’orizzonte d’attesa alimentato dal lettore, il quale potrebbe aspettarsi una serie di storie brevi, indipendenti, i cui personaggi vivono il loro percorso narrativo più o meno intenso per poi scomparire e lasciare spazio agli altri. Nell’universo narrativo della scrittrice canadese questo non avviene, poiché i personaggi si riflettono gli uni negli altri come in un gioco di specchi, trasmettendosi a vicenda echi e rinvii incrociati. L’altro elemento riguarda l’idea che tradizionalmente si può nutrire a proposito della tipologia narrativa del racconto, genere che difficilmente trova adepti nella letteratura italiana contemporanea, tranne poche eccezioni (nel Novecento Tommaso Landolfi e Dino Buzzati, non a caso intrisi di un realismo magico di matrice europea e quanto mai lontani da provincialismi e regionalismi). E qui si aprirebbe un discorso troppo lungo, da destinarsi ad altre occasioni, per chiedersi perché mai la tradizione italiana debba rifuggire da un genere che altrove (dalla letteratura anglosassone a quella tedesca, a quella anglo-americana) trova realizzazioni esemplari. In ogni caso, dal racconto ci si può aspettare l’occasione per una lettura meno impegnativa sul piano spazio-temporale, sia perché l’arco della narrazione solitamente rispetta le unità di spazio tempo e luogo per motivi di respiro narrativo, sia perché un racconto di media lunghezza può esser letto come un episodio autonomo in termini di fruizione contemporanea, purtroppo legata a tempi veloci, a ritmi narrativi rapidissimi (si pensi all’evoluzione che ha subito il tempo narrativo nel linguaggio cinematografico, per non parlare dei tempi contratti e sincopati della pubblicità televisiva). I racconti della Munro sono complessi e compiuti in se stessi come piccoli universi, come piccoli romanzi. Nel primo racconto, intitolato I Chaddeley e i Fleming e diviso in due parti, Agganci e Il sasso nel pascolo, l’arrivo di quattro cugine a casa della protagonista, ancora bambina, in una località dell’Ontario occidentale, crea l’occasione per la ricostruzione narrativa di un mondo perduto che la protagonista comprende poi solo da adulta, quando con occhi diversi incontra a distanza di tempo una della cugine e la rivede con gli occhi smaliziati e inconsapevolmente crudeli che poteva aver avuto la propria madre anni prima; questo meccanismo di confronto impietoso tra le attese magiche dell’infanzia, con il suo bagaglio proustiano di profumi, sapori e atmosfere che si vorrebbe rivivere, e la realtà adulta, si verifica spesso nei racconti della Munro, e rende la descrizione dei personaggi un’analisi psicologica di volta in volta avvincente ma anche dolorosa. Come se l’occhio della scrittrice oltrepassasse suo malgrado i confini posti dai personaggi, i tentativi esteriori di costruire una personalità spesso nella propria fragilità, i caratteri vengono indagati e raccontati nelle loro piccole manie, nella minuzie quotidiana che li rende irrimediabilmente transeunti e a volte mediocri. Non si tratta mai, però, di una mediocrità morale, bensì dell’insoddisfazione a volte malcelata di non aver raggiunto il proprio sogno, di aver involontariamente tradito nel tempo le proprie aspettative, le fantasie giovanili dell’immaginazione che per anni hanno conferito carne e sangue alla propria esistenza, per poi estinguersi al confronto della realtà adulta, l’arido vero leopardiano. Tuttavia, un piccolo ma non banale riscatto attende queste protagoniste femminili, sorelle tra di loro, apparentate da uno sguardo coraggioso nel voler indagare la propria verità, un riscatto che, se non può essere considerato mai un risarcimento nei confronti dei loro sogni perduti per la strada (viene in mente la metafora flaubertiana del viandante che dissipa nel proprio cammino i propri sogni), offre però una prospettiva nuova sulla propria vita presente e soprattutto la possibilità di valorizzare ogni singolo momento di essa, mettendosi così ancora nelle condizioni di poterla apprezzare.

sesto incontro presso balestrero.com . Adesioni entro il 20 novembre