martedì 1 dicembre 2015

prossimo incontro: 2 febbraio con "Follia" di Patrick Mcgrath

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davvero ideale la location di ieri sera!

Ora si ricomincia con FOLLIA di P. MCGRATH
Stella, moglie frustrata di Max, vicedirettore di un grande manicomio criminale nei pressi di Londra, conosce Edgar Stark, paziente in regime di semilibertà che viene quasi ogni giorno a curare il giardino e restaurare una grande serra vittoriana ormai cadente. Edgar, scultore e artista dalla grande intensità creativa, è anche un fascinoso manipolatore che entra prepotentemente nella vita di Stella, travolgendo ogni sua resistenza. La passione sessuale scoppia selvaggia e ossessiva e la salute mentale di Stella, la sua vita noiosa ma rispettabile vanno in pezzi. Ma Edgar ha un piano: sottrae dalla camera da letto matrimoniale i vestiti di Max e fugge. A quel punto è chiaro che Stella è coinvolta: viene interrogata, dal marito e dagli psichiatri responsabili dell'istituto, che a loro volta sono messi sotto pressione dalla stampa per la pericolosità del fuggitivo. Edgar infatti è un paranoico che ha crisi violentissime di rabbia. In una di queste, convinto dell'infedeltà della moglie Ruth, l'ha uccisa e fatta a pezzi, scavandone poi la testa come fosse una scultura. Stella non regge più la tensione, scappa a Londra, trova Edgar e trascorre con lui tre settimane in uno spazio industriale abbandonato, rifugio di vagabondi, artisti e criminali. Per la prima volta si sente libera, sessualmente e mentalmente, si abbandona alla sfrenatezza, passa da una sbronza all'altra e resta intere giornate a letto con Edgar che la soddisfa e la comprende profondamente.
« Per la prima volta Stella sentiva che era valsa la pena di saltare nel vuoto, perché alla fine avrebbero trovato il posto sicuro dove amarsi senza paura. E fu in quello spirito che fecero l'amore: senza paura, liberamente, mentre i treni rombavano sul viadotto nella notte. E Stella lo fece ridendo, gridando, urlando al magazzino intero tutta la vita che aveva dentro. »
(Pg. 123)
Edgar manifesta i primi segni di squilibrio: cerca di ritrarre la testa di Stella ma non riesce a plasmare nella creta quello che gli agita la mente. Inizia la violenza. Stella viene malmenata e minacciata con un coltello. Deve fuggire, Edgar la insegue fino a quando Stella viene arrestata dalla polizia, sulle tracce di Edgar, e riportata a casa. Una penosa riconciliazione - di facciata - con il marito, la getta nella più profonda depressione, aumenta le dosi di gin e diventa completamente indifferente ai sentimenti di Max e Charlie, il figlio dodicenne. Max nel frattempo è stato giudicato inaffidabile e allontanato dal manicomio. Si trasferiscono in una località inospitale del Galles del nord dove Max è costretto ad accettare un lavoro demansionato e frustrante. Vivono in una fattoria isolata il cui proprietario, con una certa impudenza, riesce a ottenere i favori sessuali di Stella. La vita si trascina con fatica crescente fino a quando, durante una gita scolastica, Charlie annega in uno stagno gelato, sotto gli occhi indifferenti della madre. Viene nuovamente arrestata per non aver chiamato aiuto né cercato di salvare il figlio. Questa volta Max l'abbandona e Stella finisce nello stesso manicomio dove tutto era iniziato. Il medico che la prende in cura è Peter, amico di vecchia data, ora direttore dell'istituto. Il narratore. Dopo le prime giornate di spaesamento, curata con massicce dosi di psicofarmaci, Stella sembra riprendersi lentamente, sotto l'occhio attento di Peter che ne controlla ora per ora le pulsioni. Peter, ormai anziano e alla vigilia della pensione, le propone di sposarlo, Stella sembra completamente ristabilita e pronta per uscire dall'istituto e sistemarsi a casa di Peter in una ritrovata quiete familiare. La donna accetta. Ma l'intera personalità che Stella si crea per ottenere i favori di Peter è una finzione. Non ha saputo che nel frattempo Edgar è stato catturato ed è rinchiuso nello stesso manicomio, in cella di isolamento. La sua grande passione è spezzata per sempre, il figlio è morto per colpa sua. Non c'è più niente per cui vivere: attraverso una scorta di sonniferi tenuti apposta da parte in un vecchio reggiseno, si dà la morte per overdose. A Peter rimane la scultura della testa di Stella scolpita da Edgar e fatta fondere in bronzo scuro. Ed Edgar stesso, naturalmente, sotto chiave e a sua disposizione.

venerdì 9 ottobre 2015

recensione mo yan

Pubblicato in Cina nel 1988 e finalmente uscito anche da noi grazie a Einaudi, Le canzoni dell’aglio, scritto dall’allora trentatreenne Mo Yan, rappresenta un perfetto esempio di realismo magico immerso nel mondo cinese, nel quale al racconto dei crudi fatti si mescolano antiche credenze popolari al limite del grottesco e allucinazioni oniriche.
Ci troviamo a Tiantang (luogo di fantasia; Paradiso in italiano) nel 1987-88, in piena epoca di demaoizzazione. Fra i contadini del distretto serpeggia il malcontento per la scarsa, se non nulla attenzione della classe dirigente locale nei confronti dei loro problemi. Convinti/obbligati dalle nuove politiche del governo a coltivare l’aglio, i contadini, dopo una prima annata decente, si ritrovano con quintali e quintali di scapi invenduti. Esasperati dalla vista e dalla puzza dell’aglio lasciato a marcire sui carretti e lungo le strade, dal menefreghismo e dalla corruzione dilagante nella quale sguazzano impuniti i funzionari pubblici, e spronati dalle commoventi canzoni intonate da Zhang Kou, un vecchio cieco che si accompagna pizzicando le tre corde del suo violino, i contadini si ribellano assaltando e mettendo a soqquadro la sede del distretto. Fra loro, ci sono anche Gao Yang, figlio di ex proprietari terrieri e per questo discriminato sin dalla più giovane età, il suo amico Gao Ma, ex militare, ora modesto agricoltore perdutamente innamorato della procace Jinju, e l’anziana Fang Sishen, madre della ragazza e colpevole, in solido con il marito e i due avidi figli maschi di aver combinato, per meri interessi egoistici, il matrimonio tra la figlia e un uomo molto più vecchio di lei, verso il quale la povera Jinju non prova altro che ripugnanza. La questione politico-sociale della classe contadina si incrocia, dunque, con quella sentimentale di Gao Ma e Jinju. Entrambe offrono un quadro raccapricciante, osservando il quale, più e più volte ci si chiede se la vicenda non sia per caso ambientata alla fine degli anni ’80 del XIX° secolo anziché nel XX°.
Con una scrittura spudorata (in senso buono) e ricca di descrizioni, il futuro Premio Nobel cinese, regala al lettore un’esperienza totalizzante in grado di soddisfare tutti e cinque i sensi. Le raffigurazioni della povertà materiale e morale (– Ormai è morto, – si intromise il minore, – per lui non fa nessuna differenza dove lo mettiamo. «Quando uno muore è come una lampada che si spegne, il respiro si muta in brezza primaverile, la carne diventa fango». Per di più se lo mettiamo sul kang puzzerà prima.
– Vorreste lasciarlo fuori casa?
– Sì, lasciamolo qui, il vento lo terrà fresco e non si sentirà il puzzo. E poi, domani mattina eviteremo di doverlo trasportare fuori un’altra volta, – disse il minore con decisione.)
dei contadini di Tiantang, pur mettendo a dura prova la sensibilità del lettore occidentale con la loro penosa, in taluni casi rivoltante crudezza, rappresentano un’attrattiva dalla quale si viene letteralmente risucchiati. Ecco allora che anche noi, a quasi trent’anni e a centinaia di migliaia di chilometri di distanza, finiamo per ritrovarci lì, accanto a Gao Yang, Gao Ma e alla sfortunata Jinju, a tifare per i contadini e a biasimare il comportamento riprovevole dei pasciuti funzionari governativi. Anche noi, se solo ne avessimo il coraggio, ci uniremmo al grido disperato di Gao Ma:  “Ve l’ho già detto, tagliatemi la testa, fucilatemi, seppellitemi vivo, fate quello che vi pare. Io vi odio, siete corrotti, sventolate la bandiera del Partito comunista e invece lo danneggiate! Vi odio!“.
 Mo Yan, Le canzoni dell’aglio , trad. Maria Rita Masci, Einaudi, pp. 364, € 22.00, 2014
Giudizio: 5/5

mercoledì 7 ottobre 2015

dodicesimo incontro - le canzoni dell'aglio di MO YAN - 1 DICEMBRE 2015

Canzoni di rivolta di un cieco in Paradiso

La terra odora di aglio e sudore, si sviluppa un ibrido dai germogli verdi e dalle gocce del massacrante lavoro dei contadini di Tiantang ( Paradiso), nella provincia dello Shandong.
Dall'alba a notte fonda, il profilo chinato dei gracili corpi di uomini e donne segue le direttive dell'unica via percorribile : quella tracciata dal Partito e dalla pianificazione agricola. Una volta terminato il raccolto pero' l'Organizzazione si rifiuta di ritirarlo e pagarlo , ogni passo e' gravato da imposte e multe, l'aglio marcisce sui miseri carretti.
Esasperazione, fame, poverta', abusi, impotenza sferzano le masse che disperate si ribellano, forzano i cancelli della sede del distretto, vorrebbero parlare, capire, trattare. Verranno arrestati, torturati, uccisi.
Una giovane donna durante il travaglio, sola in una baracca che condivide coi ratti, parla al suo bambino che si contorce per venire al mondo. Lo scongiura di restare avvolto nel tepore del suo utero, il mondo e' tremendo, c'e' solo lavoro senza riposo, non si mangia, non si sorride, il sole brucia , l'acqua annega, le mani colpiscono. Disperata tra le doglie lo avverte che non potra' piu' difenderlo una volta fuori ed il bambino testardo ascolta la sua mamma, smette di menare calci. Decidono di stare insieme, lontano dalla cattiveria e dal dolore.

Scritto nel 1988 ed ambientato negli stessi anni, il romanzo si ispira ad un evento realmente accaduto ( la rivolta dell'aglio ) ed e' arricchito dall'infausto amore tra Gao Ma e Jinju e dalle strazianti vicende di altri personaggi, in un accavallarsi di strati temporali non lineari.
L'amara realta' contadina narrata da Mo Yan e' lucida e feroce, non risparmia non sconta non ha pieta'. Poverta', violenza e prevaricazione sono una minaccia costante, ma cio' che turba piu' di tutto non e' il fatto fine a se stesso, e' la crudelta' diffusa e vissuta come fosse pane quotidiano ed irrinunciabile. Come se l'orrore fosse una cosa normale.
Molto spazio ai discorsi diretti a discapito della bella prosa che fa capo allo scrittore cinese, il volume istiga ferocemente all' apnea del tormento e dell'incredulita'; ricordate di respirare durante la lettura, diversamente ne morirete.
Toccante e disperato, truce ed esasperato.

mercoledì 15 luglio 2015

serata cinema truffaut - fahrenheit 251 - 29 luglio 2015


undicesimo incontro - la nemica di irene nemirowsky - 6 ottobre 2015

La nemica è il suo secondo lavoro. Ucraina naturalizzata francese, di padre ebreo (come ebreo sarà il futuro marito), convertitasi al cattolicesimo, deportata ad Auschwitz, dove morirà di tifo nel 1942, a soli 39 anni: tratti biografici fondamentali questi, ma non sufficienti a comprendere una personalità complessa e contraddittoria quale può meglio dispiegarsi nella Vita di Irène Némirovsky (Olivier Philipponnat - Patrick Lienhardt, Adelphi, 2009) e in Mirador: Irène Némirovsky, mia madre (Elisabeth Gille, Fazi, 2011).
Perché la “nemica” è la madre della protagonista, Gabri. La narrazione, condotta da un osservatore esterno che tuttavia per la quasi totalità del romanzo si cala nel punto di vista della giovane, ritrae la bambina e poi adolescente come abbandonata a se stessa, tradita nel suo naturale bisogno d’amore e tenerezza da una genitrice frivola ed egoista, lei stessa vittima di vuoti, disperatamente e ciecamente alla ricerca di una vitalità piena anche a risarcimento alle miserie di un’esistenza segnata dalla povertà; risarcimento che la donna si illude di ottenere narcisisticamente sfoggiando la propria bellezza in un’ossessione esclusiva al culto di sé, parallela a quella della passione per il giovane cognato, condotto a Parigi dal marito dopo il suo forzato esilio motivato dal tentativo di risollevare le sorti economiche della famiglia. Morbosamente fascinata dal lusso superficiale e corrotto della borghesia parigina, la madre Francine abbandona Gabri e la sorella minore Michette a sé stesse, condannandole ad un’indipendenza prematura e ad un’autoeducazione che, senza sani e stabili punti di riferimento, non può che condurre a un esito distruttivo. La piccola Michette morirà, sola. Gabri intraprenderà il suo percorso di formazione mossa da un odio e da un rancore profondi nei confronti di Francine, decisa a vivere la sua femminilità liberamente: moglie adultera (di un ebreo arricchito che sa e finge di non sapere); madre dispensatrice di principi che è la prima a non rispettare. Unamadre odiata – necessariamente – per la sua indifferenza; che non vede e non ascolta; e scava dunque in Gabri un astio ed un risentimento destinati a tramutarsi presto in desiderio conscio di vendetta. Ecco dunque Gabri optare per una doppia vita, introdottavi da un’amica pure danneggiata – e inizia allora il viaggio alla devalorizzazione di sé fino all’atto di amore violento impostole da un nobile russo decaduto –; e poi cedere alla relazione con l’amante della madre. Tra pulsioni insofferenti di ogni controllo razionale, in assenza di una moralità foss’anche debole a fungere da argine, nell’assoluto dominio di istinti e perversioni che conducono a rapporti deviati e devianti, non può che profilarsi al finale la tragedia.
Tralasciando osservazioni relative al linguaggio mancando la lettura del testo in originale, è evidente che la narrazione possiede un ritmo narrativo sicuro (scrittrice di talento è Irène Némirovsky). Ma la vicenda è raccontata con una superficialità a tratti persino fastidiosa; scorre attraverso luoghi, relazioni, anime, emozioni accostati paratatticamente senza alcuno scavo significativo che permetta loro di incidersi nella mente e nell’animo del lettore. Le singole causalità psicologiche sono chiare (da manuale), come lo è il loro succedersi diacronico. Ma le passioni e i tormenti non sono né espressi né indagati come sarebbe accaduto se l’autrice fosse stata più matura e, soprattutto, capace di distanziarsi da una materia per lei troppo scottante. La collocazione storica, che pochi tratti decisi e opportuni avrebbero permesso di delineare risultandone arricchiti il panorama e lo spessore stesso del testo (tanto più considerando la psicologia dei personaggi legata a doppio filo alla crisi del primo dopoguerra), è sostanzialmente assente, apparendo accennata più come nota di colore che come veicolo di senso.
Vola e sorvola, Pierre Nérey; come se dovesse farlo perchè tutto ribolle troppo; come se contasse solo scrivere – cioè dire ad alta voce – ciò, violando finalmente il velo ipocrita e il silenzio in una non più sostenibile ansia di liberazione.
La nemica è dunque il racconto di una duplice vendetta: quella di Gabri e quella della scrittrice. Per la quale, più della tragedia finale, pare contare la frase che seccamente, ex abrupto, conclude l’opera: “Signore, Signore, perchè mi colpisci in questo modo?”. È la madre a parlare; lei colpita ora da un dolore definitivo, ma ancora ottusa e priva di strumenti per comprendere e gestire sé ed il mondo, al punto da ostinarsi a non assumersi responsabilità e colpe per la corsa al degrado della figlia. Gabri ha corso come ha corso Irène. Doveva correre, Irène. Per arrivare a ciò che solo le premeva: la condanna estrema attuata attraverso il racconto della verità e l’urlo del proprio disprezzo.
Perchè dunque si dovrebbe leggere La nemica? Per la vicenda narrata, certo. Ma anche e soprattutto perché permette di approfondire la conoscenza di una vicenda esistenziale ed artistica ricca e complessa, aggiungendo un prezioso tassello alla comprensione del microcosmo biografico-psicologico e letterario di Irène Némirovsky. Microcosmo capace di destare commozione e partecipazione ma anche indignazione al punto da essere a volte oggetto di una lettura selettiva. Penso al David Golder in cui il ritratto caustico e feroce, a tratti persino disturbante, di un ricco ebreo di cui si narra il percorso di degradazione, presenta moltissimi degli stereotipi antisemiti di cui fece grande uso il Nazismo (e non solo). E per questo risulta ancora oggi scandaloso e imbarazzante. Forse che invece l’autrice intendeva colpire le devianze e le perversioni di certi aspetti della società ebraica a cui apparteneva? E porsi in confronto critico con la civiltà in cui ci si è formati e di cui si è parte non è forse intrinseco alla creazione letteraria? E forse che non ha nutrito il ferro rovente della scrittrice l’intima conoscenza di certa parte della cultura ebraica, alla quale ha avuto accesso preferenziale per via biografica e attraverso relazioni non edificanti? Forse che la grande colpa della Némirovsky è stata quella di essere un’ebrea che colpiva dall’interno? Con l’aggravante della sua conversione? Se è vero che un testo letterario non può comprendersi ed apprezzarsi quando astratto dalla biografia e cultura in cui è germinato.
La nemica è dunque tessera necessaria a capire e serenamente valutare l’universo di una donna complessa come lo è la sua opera. Grazie dunque alla casa editrice Elliot che ci permette di conoscerla meglio nel suo percorso letterario, inscindibile – come non sempre accade così prepotentemente – da quello esistenziale. Di là da ogni pregiudizio. Ci stupisce sempre Irène Némirovsky.

giovedì 14 maggio 2015

decimo incontro - 14 luglio 2015

Fahrenheit 451 (edito in Italia anche con il titolo Gli anni della fenice) è un romanzo di fantascienza del 1953, scritto da Ray Bradbury.
Nasce come espansione del racconto breve The Fireman, pubblicato originariamente nel numero di febbraio 1951 della rivista Galaxy Science Fiction e, in italiano, sulla rivista Urania in due puntate (nn. 13 e 14, novembre e dicembre 1953) con il titolo Gli anni del rogo. In forma di romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1953 sulla nascente rivista Playboy, sul secondo, terzo e quarto numero[1].
Ambientato in un imprecisato futuro posteriore al 1960, vi si descrive una società distopica in cui leggere o possedere libri è considerato un reato, per contrastare il quale è stato istituito un apposito corpo di vigili del fuoco impegnato a bruciare ogni tipo di volume.
Il titolo del romanzo si riferisce a quella che Bradbury riteneva essere la temperatura di accensione della carta (e che nel Sistema internazionale corrisponde a circa 506 K, 233 °C), anche se nel testo non vi si fa riferimento: tale cifra compare, infatti, solo sull'elmetto da pompiere del protagonista Montag. In realtà la temperatura d'accensione della carta dipende dal suo spessore: quella di giornale si accende per esempio a 185 °C, quella da lettera a 360 °C.
Nel 1966 il libro è stato trasposto in un omonimo film per la regia di François Truffaut. Nel 2004 al libro è stato assegnato il premio Retro Hugo come miglior romanzo 1954.

giovedì 7 maggio 2015

NONO INCONTRO - MANSFIELD PARK DI JANE AUSTEN

12 maggio 2015 - caffè degli Specchi in salita pollaiuoli

Mansfield Park, uno dei romanzi più noti e discussi di Jane Austen, narra la storia di Fanny Price. Adottata, ancora bambina, dagli zii Sir Thomas e Lady Bertram, Fanny viene accolta e allevata nella loro lussuosa proprietà di Mansfield Park. Qui cresce, parente povera in un ambiente d’élite, e misura tutta la distanza fra il proprio modello educativo – fondato sul senso del dovere, l’abnegazione, la virtù – e quello, in particolare, della spregiudicata Mary Crawford. Alla fine la protagonista sposerà il cugino Edmund, figlio di Sir Thomas, e con lui si stabilirà definitivamente a Mansfield Park. Al di là dell’apparente trionfo della morale tradizionale, la narrazione contiene un’implicita e corrosiva critica della cultura dominante del primo Ottocento: Fanny – suggerisce l’autrice – realizza, infatti, l’ascesa sociale al prezzo della negazione della propria libertà e spontaneità. Mansfield Park ha il suo vero centro nel tema scottante dell’educazione femminile e dimostra tutta la modernità di Jane Austen, le cui opere, non a caso, conoscono oggi uno straordinario e duraturo successo, coronato anche da fortunate trasposizioni cinematografiche.

«Il fasto della casa la sbalordiva, ma non riusciva a consolarla. Le stanze erano troppo grandi perché vi si potesse muovere con disinvoltura; temeva di rompere qualsiasi cosa toccasse e si aggirava quasi furtivamente, nel costante terrore di una cosa o di un’altra, rifugiandosi spesso a piangere nella sua camera.»
All'inizio è stata un poco dura, poiché introduce moltissimi personaggi tutti insieme, e non è facile entrare subito nella vicenda. Il ritmo, nella prima parte, era piuttosto lento, ma poi, pian piano, la trama si è fatta più articolata e coinvolgente.
La protagonista è Fanny, una bambina che è adottata dai suoi zii, per aiutare la sua famiglia: sua madre, infatti, ha una famiglia molto numerosa e non è così ricca da sostenerli tutti in maniera adeguata. I suoi zii, invece, vivendo in condizioni notevolmente migliori, la accolgono a Mansfield Park, cornice di quasi l'intera vicenda, dove viene cresciuta insieme ai loro quattro figli: Thomas, Edmund, Maria e Julia. E' trattata, sin da piccola, con sufficienza dai cugini, ad eccezione di Edmund che si dimostra sempre molto gentile e affettuoso nei suoi riguardi. Oltre ai Bertram, Fanny ha un'altra zia, Mrs Norris, la quale disprezza chi è al di sotto della sua classe, e così la stessa bambina, umiliandola costantemente, a differenza degli altri nipoti, che invece stravizia, in modo particolare Maria, e questo sarà una delle cause dei successivi, sgradevoli, avvenimenti per la famiglia.
La piccola Fanny cresce con un forte senso della virtù e della compostezza; diverrà una fanciulla gentile, generosa, remissiva e sempre pronta ad accettare ogni ordine che le viene dato. Non darà mai veri segni di ribellione, se non fosse per un unico punto, che riguarda uno dei suoi saldi principi ai quali si attiene: sposare l'uomo che ama. Ogni volta che, però, andrà contro i voleri dello zio - di cui inizialmente avrà paura - si sentirà profondamente mortificata. Spesso non è felice, ma le uniche luci in quella grande casa, saranno il suo affetto smisurato per il fratello con cui rimane in profondo contatto, e l'amore che pian piano affiora nel suo cuore per suo cugino Edmund.
Nella prima parte del romanzo, Fanny viene spesso messa in disparte, come mera spettatrice di ciò che avviene a Mansfield Park. L'arrivo dei due fratelli Crawford, Mary e Henry, sarà alla base dello stravolgimento nella vita tranquilla del luogo.
Mary ed Henry si dimostreranno presto dei ragazzi molto spregiudicati, dediti in modo particolare alla vanità e all'egoismo, e alla volontà di contrarre il matrimonio più redditizio possibile. Sono il perfetto opposto della fragile e composta Fanny, un neo della società basata su rigidi dettami.
Mary inizierà a frequentare presto Edmund, mentre Henry si divertirà a far innamorare di sè le sue sorelle, incurante che Maria sia già promessa sposa di un altro.
Tutto ciò avviene quando Mr Thomas Bertram sarà lontano, per risolvere alcuni problemi nella sua piantagione ad Antigua, e i ragazzi, senza il controllo del padre, con una zia (Norris) pronta a viziarli, e una madre che li ignora altamente, dedicandosi unicamente al suo cagnolino e all'ozio, finiranno per commettere degli sbagli. Nasce in loro l'idea e la volontà di mettere in scena un'opera teatrale, nonostante il parere contrario del moralistico Edmund, che insieme a Fanny, ritiene il contenuto scandaloso, così come sconveniente la partecipazione di una donna a una rappresentazione teatrale.
Questo gioco fatto anche di fraintendimenti e di reciproche confessioni di sentimenti, viene interrotto dal ritorno di Mr Bertram, che si infuria terribilmente della sgradevole situazione che si ritrova in casa.
Maria finirà per sposare il suo promesso sposo e porterà con sé la sua sorellina, e così la  scena si sposta soprattutto su Fanny che inizia ad essere guardata da tutti in maniera diversa. Infatti, nella seconda parte del romanzo, da mera spettatrice, sembra diventare la vera protagonista del romanzo - come dovrebbe essere -. Mr Bertram, ad esempio, venuto a conoscenza del comportamento dignitoso della fanciulla, inizia a dimostrarle un maggior affetto, e anche i due fratelli Mary e Henry spostano i loro sguardi su di lei, anche in maniera sgradita alla povera ragazza, che conoscendo i loro veri caratteri, non riesce proprio ad apprezzarli. Tanto più che Fanny soffre terribilmente nel vedere l'affetto crescente che lega suo cugino alla bella e forte Mary.
Henry, non potento più avere le due sorelle Bertram, sposta il suo interesse proprio verso quella fanciulla tenuta da parte, e sembra fare di tutto per spingerla a sposarlo. Nonostante i continui rifiuti della ragazza, non sembra placarsi, e alla fine la dolcezza e la pacatezza di Fanny, lo porteranno a innamorarsi realmente di lei.
Sir Thomas e lo stesso Edmund spingono più volte Fanny a cambiare opinione: Henry Crawford sarebbe un buon partito per lei, un ragazzo adatto a una come lei, ma lei si dimostra davvero irremovibile. Per tal motivo, Sir Thomas la manda a vivere dalla sua famiglia, nella speranza che le ristrettezze economiche la portino a modificare la sua opinione su Henry e ad accettarlo.
Ma la situazione scivola in basso, irrimediabilmente. Fanny si ritrova a vivere in una ambiente del tutto diverso da quello in cui è cresciuta: nonostante sia la sua famiglia, si sente quasi un'estranea, e si avverte la forte differenza tra i due ambienti e le differenti classi sociali. A Mansfield Park regna la pulizia, il decoro, l'educazione, il silenzio; nella vecchia casa di famiglia, i bambini non fanno altro che urlare e correre per tutta la casa, sbattendo porte e litigando tra di loro, e i suoi stessi genitori sembrano ignorarla. Stringerà un rapporto più importante con una delle sue sorelle, Susan, che dimostrerà la viva volontà di apprendere quella pacatezza di modi che tanto ammira in Fanny.
Tuttavia, nella famiglia dei Bertram la situazione diventa sempre più spiacevole. Il primogenito, Tom, rischierà la vita per una malattia contratta a causa della sua vita dissoluta, Maria fuggirà con Henry incurante del suo matrimonio, Julia seguirà il suo cattivo esempio con un altro uomo. Solamente Fanny si dimostrerà essere la perfetta figlia che si attiene alla rigida morale dell'epoca. E i suoi atteggiamenti, spesso remissivi e pacati, finiranno per condurla alla realizzazione del suo sogno e all'aspirazione del suo cuore: sposare colui che ama.

Il finale non lascia felici come negli altri romanzi, ha un retrogusto un po' amaro, è come se la rigida società tanto criticata da Jane, alla fine avesse la meglio. Colei che si è attenuta alle regole, ha ottenuto il suo amore, ma resterà sempre in quell'ambiente dove è stata a lungo trattata quasi come un oggetto.