venerdì 9 ottobre 2015

recensione mo yan

Pubblicato in Cina nel 1988 e finalmente uscito anche da noi grazie a Einaudi, Le canzoni dell’aglio, scritto dall’allora trentatreenne Mo Yan, rappresenta un perfetto esempio di realismo magico immerso nel mondo cinese, nel quale al racconto dei crudi fatti si mescolano antiche credenze popolari al limite del grottesco e allucinazioni oniriche.
Ci troviamo a Tiantang (luogo di fantasia; Paradiso in italiano) nel 1987-88, in piena epoca di demaoizzazione. Fra i contadini del distretto serpeggia il malcontento per la scarsa, se non nulla attenzione della classe dirigente locale nei confronti dei loro problemi. Convinti/obbligati dalle nuove politiche del governo a coltivare l’aglio, i contadini, dopo una prima annata decente, si ritrovano con quintali e quintali di scapi invenduti. Esasperati dalla vista e dalla puzza dell’aglio lasciato a marcire sui carretti e lungo le strade, dal menefreghismo e dalla corruzione dilagante nella quale sguazzano impuniti i funzionari pubblici, e spronati dalle commoventi canzoni intonate da Zhang Kou, un vecchio cieco che si accompagna pizzicando le tre corde del suo violino, i contadini si ribellano assaltando e mettendo a soqquadro la sede del distretto. Fra loro, ci sono anche Gao Yang, figlio di ex proprietari terrieri e per questo discriminato sin dalla più giovane età, il suo amico Gao Ma, ex militare, ora modesto agricoltore perdutamente innamorato della procace Jinju, e l’anziana Fang Sishen, madre della ragazza e colpevole, in solido con il marito e i due avidi figli maschi di aver combinato, per meri interessi egoistici, il matrimonio tra la figlia e un uomo molto più vecchio di lei, verso il quale la povera Jinju non prova altro che ripugnanza. La questione politico-sociale della classe contadina si incrocia, dunque, con quella sentimentale di Gao Ma e Jinju. Entrambe offrono un quadro raccapricciante, osservando il quale, più e più volte ci si chiede se la vicenda non sia per caso ambientata alla fine degli anni ’80 del XIX° secolo anziché nel XX°.
Con una scrittura spudorata (in senso buono) e ricca di descrizioni, il futuro Premio Nobel cinese, regala al lettore un’esperienza totalizzante in grado di soddisfare tutti e cinque i sensi. Le raffigurazioni della povertà materiale e morale (– Ormai è morto, – si intromise il minore, – per lui non fa nessuna differenza dove lo mettiamo. «Quando uno muore è come una lampada che si spegne, il respiro si muta in brezza primaverile, la carne diventa fango». Per di più se lo mettiamo sul kang puzzerà prima.
– Vorreste lasciarlo fuori casa?
– Sì, lasciamolo qui, il vento lo terrà fresco e non si sentirà il puzzo. E poi, domani mattina eviteremo di doverlo trasportare fuori un’altra volta, – disse il minore con decisione.)
dei contadini di Tiantang, pur mettendo a dura prova la sensibilità del lettore occidentale con la loro penosa, in taluni casi rivoltante crudezza, rappresentano un’attrattiva dalla quale si viene letteralmente risucchiati. Ecco allora che anche noi, a quasi trent’anni e a centinaia di migliaia di chilometri di distanza, finiamo per ritrovarci lì, accanto a Gao Yang, Gao Ma e alla sfortunata Jinju, a tifare per i contadini e a biasimare il comportamento riprovevole dei pasciuti funzionari governativi. Anche noi, se solo ne avessimo il coraggio, ci uniremmo al grido disperato di Gao Ma:  “Ve l’ho già detto, tagliatemi la testa, fucilatemi, seppellitemi vivo, fate quello che vi pare. Io vi odio, siete corrotti, sventolate la bandiera del Partito comunista e invece lo danneggiate! Vi odio!“.
 Mo Yan, Le canzoni dell’aglio , trad. Maria Rita Masci, Einaudi, pp. 364, € 22.00, 2014
Giudizio: 5/5

mercoledì 7 ottobre 2015

dodicesimo incontro - le canzoni dell'aglio di MO YAN - 1 DICEMBRE 2015

Canzoni di rivolta di un cieco in Paradiso

La terra odora di aglio e sudore, si sviluppa un ibrido dai germogli verdi e dalle gocce del massacrante lavoro dei contadini di Tiantang ( Paradiso), nella provincia dello Shandong.
Dall'alba a notte fonda, il profilo chinato dei gracili corpi di uomini e donne segue le direttive dell'unica via percorribile : quella tracciata dal Partito e dalla pianificazione agricola. Una volta terminato il raccolto pero' l'Organizzazione si rifiuta di ritirarlo e pagarlo , ogni passo e' gravato da imposte e multe, l'aglio marcisce sui miseri carretti.
Esasperazione, fame, poverta', abusi, impotenza sferzano le masse che disperate si ribellano, forzano i cancelli della sede del distretto, vorrebbero parlare, capire, trattare. Verranno arrestati, torturati, uccisi.
Una giovane donna durante il travaglio, sola in una baracca che condivide coi ratti, parla al suo bambino che si contorce per venire al mondo. Lo scongiura di restare avvolto nel tepore del suo utero, il mondo e' tremendo, c'e' solo lavoro senza riposo, non si mangia, non si sorride, il sole brucia , l'acqua annega, le mani colpiscono. Disperata tra le doglie lo avverte che non potra' piu' difenderlo una volta fuori ed il bambino testardo ascolta la sua mamma, smette di menare calci. Decidono di stare insieme, lontano dalla cattiveria e dal dolore.

Scritto nel 1988 ed ambientato negli stessi anni, il romanzo si ispira ad un evento realmente accaduto ( la rivolta dell'aglio ) ed e' arricchito dall'infausto amore tra Gao Ma e Jinju e dalle strazianti vicende di altri personaggi, in un accavallarsi di strati temporali non lineari.
L'amara realta' contadina narrata da Mo Yan e' lucida e feroce, non risparmia non sconta non ha pieta'. Poverta', violenza e prevaricazione sono una minaccia costante, ma cio' che turba piu' di tutto non e' il fatto fine a se stesso, e' la crudelta' diffusa e vissuta come fosse pane quotidiano ed irrinunciabile. Come se l'orrore fosse una cosa normale.
Molto spazio ai discorsi diretti a discapito della bella prosa che fa capo allo scrittore cinese, il volume istiga ferocemente all' apnea del tormento e dell'incredulita'; ricordate di respirare durante la lettura, diversamente ne morirete.
Toccante e disperato, truce ed esasperato.