martedì 3 ottobre 2017

5 DICEMBRE 2017 - PASTORALE AMERICANA DI PHILIP ROTH










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Pastorale americana di Philip Roth è stato il libro che mi è forse stato consigliato più di ogni altro, da tutti: condizione sufficiente per cui il mio giudizio, talmente galvanizzato, risultasse leggermente al di sotto dell’entusiasmo che lo ha accompagnato. Invece, se oggi dovessi elencare i cinque libri più belli che io abbia mai letto, Pastorale Americana troneggerebbe nella sua austerità, linearità e nel suo mistero. Non che io stia parlando di una cosetta: è il Pulitzer 1997. Però è un libro che ti cambia qualcosa. A livello umano, e a livello di scrittura.

Pastorale Americana è una famiglia che bruciaCome suggerisce la copertina italiana, ma non come fa intendere la quarta: lì è lo Svedese, protagonista del racconto, “nome magico” dell’infanzia dello scrittore, la cui vita si snoda in un arco di tempo delicatissimo per l’America Moderna, dagli anni ’50 agli anni ’80 del ‘900. Quello in cui Roth eccelle, però, è allargare il quadro. Ok lo Svedese, certo, d’accordo la figlia Merry, ma la moglie Dawn, e Rita Cohen? E suo padre, e la fabbrica? E gli anni ’60?
E l’American Dream?

Microstoria e macrostoria s’incontrano divinamente nel testoNel tentativo di comprendere una rabbia generazionale di cui la figlia del protagonista, Merry, è l’incarnazione. La loro rabbia è il combustibile, pensa lo Svedese, uno su cui tutti, da ragazzi, avevano scommesso la “fiche” del successo. Lo Svedese, quel campione di basket, che sposò quella meravigliosa Dawn, che prese con successo le redini dell’azienda del padre.

In Pastorale Americana però il successo non esisteIl libro tutto, forse, è una riflessione sulle possibilità che ti leva l’essere al mondo, per l’essere venuto al mondo a quel modo. E d’altra parte la costruzione dei personaggi non è da meno. Nessun personaggio vive a due dimensioni: c’è chi dà fuoco alle cose, chi tradisce, chi rifà la casa per farsi l’architetto, chi è troppo ubriaco per capire. Tutti disfano. Ardentemente.

“Non dimentichiamo l’energia”E’ l’inizio del discorso della 45° riunione degli allievi della scuola che Nathan Zuckerman, lo scrittore fittizio del romanzo, non tenne mai. È la riflessione che chi legga Pastorale Americana si porta dietro. L’energia che si respira tra quelle pagine sarebbe necessaria a far bruciare non un supermercato, ma un intero continente. È una scrittura precisa, affilata, arrabbiata, una scrittura che non si dà pace, di un uomo che non capisce.

Ma Pastorale Americana è un libro che non ti spiegaÈ come tutti i migliori libri: non ti spiega, ti racconta e basta. Entra in una vicenda, ne accarezza i protagonisti, accenna, e poi ti ci butta a capofitto, ti fa sguazzare nelle ragioni e nelle storie personali. C’impiega quasi 500 pagine, Roth, a spiegarsi il perché. Il romanzo, però si chiude con l’unico finale che un essere umano possa concepire: una domanda.


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