mercoledì 18 novembre 2020

26 GENNAIO 2021 - IL DECORO DI DAVID LEAVITT CON FABIO CREMONESI ED ALESSANDRA OSTI


Qualche giorno dopo l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, in una lussuosa villa del Connecticut, alcuni amici newyorkesi appartenenti all’alta borghesia intellettuale si ritrovano per riprendersi da quella che considerano la più grande catastrofe politica della loro vita. Si rifugiano in campagna nella speranza di ristabilire la “bolla” in cui sono abituati a vivere. Eva Lindquist, la padrona di casa, propone una sfida. Chi di loro sarebbe disposto a chiedere a Siri come assassinare Trump? Nessuno, a eccezione di un cinico editore, raccoglie la provocazione. Gli amici progressisti di Eva e del marito Bruce con la loro pavida reazione introducono uno dei temi portanti del romanzo: la paura di fronte a un nuovo clima politico. Delusa dal suo paese, dove non si sente più “a casa” e al sicuro, Eva decide di partire per Venezia, città che ha conosciuto e amato in gioventù. Lì, quasi per caso, visita un affascinante appartamento e decide di acquistarlo. Il soggiorno in quella città la aiuta a cercare un nuovo modo di immaginare il mondo. Intorno a quello di Eva si intrecciano i destini degli altri personaggi, che prendono forma attraverso dialoghi incalzanti e ironici, nei quali si configurano possibili soluzioni a esistenze segnate dall’inquietudine. Ecco allora i tradimenti, le fughe e la menzogna a coprire tutto. Il decoro affronta gli imprevedibili appetiti d’amore, di potere e di libertà che plasmano la vita pubblica e privata delle classi privilegiate. Un romanzo che parla del bisogno di sicurezza e dell’istinto di scoperta, del rapporto tra altruismo e autoconservazione e della natura effimera di un certo tipo di ricercatezza.



Oltre i bigotti anni cinquanta e gli spudorati anni sessanta

di Fabio Cremonesi

Malgrado un noto proverbio inglese reciti Two’s company, three’s a crowd (“Due fanno una coppia, tre fanno una folla”, giusto per essere un po’ infedele all’originale!), credo che per un traduttore essere chiamato a ritradurre opere di narrativa già edite in italiano sia una delle esperienze più stimolanti. Forse è semplicemente l’idea che a essere in due si è meno intimiditi di fronte all’autore: sì, capita anche questo nella “rocambolesca” vita di un traduttore. Io per esempio sono terrorizzato al pensiero che, dopo In Gratitudine, uscito l’anno scorso (per NN), mi aspettino altre due opere di Jenny Diski, eppure sapere che una delle due è una ritraduzione mi conforta assai.
O forse a essere seducente è proprio l’idea che, di fronte a un dubbio sulla bontà di una soluzione, ci sia la possibilità di allearsi di volta in volta con l’autore o con il precedente traduttore per ottenere una “maggioranza numerica” impossibile da raggiungere quando si è a tu per tu con il solo autore (ma come? – si obietterà – l’ultima parola spetta sempre all’autore, il che è vero solo se non si considera che l’autore non sta parlando in italiano, quindi a volte, con dolcezza e senza forzature, al traduttore tocca convincerlo della bontà delle proprie scelte traduttive).

Perché si ritraduce?

Ma a questo punto mi pare il caso di fare un passo indietro per la domanda che mi viene rivolta più spesso quando mi capita di parlare di ritraduzioni: perché si ritraduce?
Ovviamente le risposte sono infinite e disparate, da quella più ovvia – non tutte le traduzioni sono buone traduzioni – ad altre più sfuggenti, per esempio che le traduzioni invecchiano, come è facile constatare per esempio leggendo una traduzione degli anni trenta di un romanzo ottocentesco; ci sarebbe poi da fare un discorso sugli standard traduttivi di oggi, che, contrariamente ai luoghi comuni, sono molto più elevati di quelli di un tempo: la storica traduzione di Bice Giachetti-Sorteni di La montagna incantata di Thomas Mann, per citare un caso notissimo, era un’eccellente traduzione per i suoi tempi, ma oggi lo standard è quello definito dalla magistrale versione di Renata Colorni, che tra l’altro fin dal titolo – La montagna magica – corregge quello che oggi è giustamente considerato un errore madornale. Questo aumentare degli standard ha, peraltro, delle motivazioni molto concrete: sia perché la platea dei possibili traduttori tra cui le case editrici scelgono si è enormemente ampliata rispetto al passato, sia perché i traduttori oggi dispongono di una risorsa formidabile come il web, inteso come immenso archivio di informazioni ma anche come “intelligenza collettiva”. Inoltre, più prosaicamente, oggi come oggi qualunque traduttore ha la possibilità di mandare una e-mail o di telefonare per pochi spiccioli all’altro capo del mondo.

In altri casi a far optare per una nuova traduzione è la volontà dell’editore di dare un’unica voce all’intera produzione di un autore (è il caso di Canto della pianura di Kent Haruf, ritradotto dal sottoscritto per NN, dopo che in Rizzoli era apparsa la bella traduzione di Fabrizio Ascari). Altre volte ancora la ritraduzione serve anche a restituire al lettore nella sua integrità un testo a suo tempo mutilato dalla censura o, come nel caso dello splendido E il vento disperse la nebbia di James Leo Herlihy, appena uscito per Centauria, dall’autocensura (redazionale o forse operata dal traduttore stesso, chissà) della prima edizione italiana. Nella precedente edizione del 1960, tanto per capirci, era stato omesso un paragrafo intero solo perché conteneva la parola “inguine”. La censura in questo caso appare particolarmente bizzarra in quanto il romanzo tratta dell’educazione sentimentale di un adolescente di provincia in un momento di svolta nella storia degli Stati Uniti: il passaggio tra i bigotti, puritani anni cinquanta e i libertari, “spudorati” anni sessanta: in un contesto del genere, togliere ogni riferimento alla fisicità dei personaggi significa depotenziarlo fino a renderlo quasi incomprensibile, reticente laddove l’originale è conturbante, frigido laddove dovrebbe risultare provocante.

15 DICEMBRE - L'IMPREVEDIBILE PIANO DELLA SCRITTRICE SENZA NOME DI ALICE BASSO


 Dietro un ciuffo di capelli neri e vestiti altrettanto scuri, Vani nasconde un viso da ragazzina e una innata antipatia verso il resto del mondo. Eppure proprio la vita degli altri è il suo pane quotidiano. Perché Vani ha un dono speciale: da piccoli indizi che sembrano insignificanti, coglie l'essenza di una persona, riesce a mettersi nei suoi panni, pensare e reagire come avrebbe fatto lei. Un'empatia profonda, un intuito raffinato, uno spirito di osservazione fuori dal comune, sono le sue caratteristiche. E di queste caratteristiche ne ha fatto il suo mestiere: Vani è una ghostwriter per un'importante casa editrice. Scrive libri per altri. L'autore le consegna la sua idea, il materiale su cui documentarsi e lei riempie le pagine delle stesse identiche parole che avrebbe utilizzato lui. Un lavoro svolto nell'ombra. E a Vani sta bene così. Anzi, preferisce non incontrare di persona gli scrittori per cui lavora.

Fino al giorno in cui il suo editore non la obbliga a fare due chiacchiere con Riccardo, autore di successo in preda ad una crisi di ispirazione. I due si capiscono al volo e tra loro nasce una sintonia inaspettata fatta di citazioni tratte da Hemingway, Fitzgerald, Steinbeck. Una sintonia che Vani non credeva possibile. Da tempo ha smesso di credere che potesse capitare anche a lei. Per questo sa di doversi proteggere perché dopo aver creato insieme un libro che diventa un fenomeno editoriale senza paragoni, Riccardo sembra essersi dimenticato di lei.
E quando il destino mette in atto il suo piano imprevisto e fa incrociare di nuovo le loro strade, Vani scopre che in amore nulla è come sembra. Questa volta è difficile resistere a Riccardo e a quell'alchimia che pare non esser mai svanita. Proprio ora che Vani ha bisogno di tutta la sua concentrazione, di tutto il suo intuito. Un'autrice per cui sta lavorando è stata rapita e la polizia vuole la sua collaborazione. Perché c'è un commissario che ha riconosciuto il suo talento unico e sa che solo lei può entrare nella mente del sequestratore.
Come nel più classico dei romanzi Vani ha davanti a sé molti ostacoli. E non c'è nessuno a scrivere la storia della sua vita al posto suo, dovrà scegliere da sola ogni singola parola, gesto ed emozione.
L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome è il sorprendente esordio di Alice Basso. Una voce nuova, unica, esilarante pronta a colpirvi pagina dopo pagina. Un tributo al mondo dei libri, all'amore che non ha regole e ai misteri che solo l'intuito può risolvere. Una protagonista indimenticabile che vi dispiacerà lasciare alla fine del romanzo. 

mercoledì 23 settembre 2020

LA SPOSA LIBERATA - ABRAHAM YEHOSHUA - 17 NOVEMBRE 2020

 




Yehoshua analizza il rapporto difficile fra due mondi, due culture, la israeliana e l’araba, che cercano una difficile, forse impossibile convivenza.

Il protagonista del libro è il professor Rivlin, docente di letteratura mediorientale all’Università di Haifa, sposato felicemente con Haghit, una pragmatica ed austera giudice distrettuale. Hanno due figli, uno dei quali, Ofer, dopo un solo anno di matrimonio ha divorziato dalla bella Galia per motivi misteriosi e mai chiariti. Sono ormai passati cinque anni e il professor Rivlin è ossessionato dal fatto che il figlio, che ora vive a Parigi, non si sia rifatto una vita al contrario dell’ex moglie. Rivlin apprende infatti casualmente (mentre alloggia nella pensione di cui la famiglia della ex nuora è proprietaria) che Galia si è risposata ed attende un figlio...

Accanto a questa storia se ne affiancano altre che vedono sempre Rivlin al centro della narrazione, mentre il tema del matrimonio sembra essere quello che intrighi di più l’autore: matrimoni riusciti, matrimoni falliti, matrimoni che si stanno celebrando, matrimoni virtuali, matrimoni fra persone di età diverse e di diverse etnie che lasciano il lettore alle prese con molti e diversi interrogativi che l’autore sembra non voler svelare.

Molto interessante l’analisi del rapporto fra i personaggi arabi, soprattutto Rashed, sua cugina Samaher e il cameriere factotum Fuad e gli ebrei, lo stesso Rivlin e sua moglie, ma anche il vecchio professore italiano, Carlo Tedeschi e la sua giovane e inquieta moglie Hana; e ancora Tehila, la sorella di Galia, in un caleidoscopio di viaggi dentro e fuori i territori occupati, a Gerusalemme, ad Haifa, mentre i personaggi tutti concorrono ad una narrazione a volte troppo lenta, ma ricca di fascino, dove l’uso delle metafore, dei simboli, delle allegorie ci consegnano ancora una volta l’immagine di uno scrittore davvero straordinario, capace di costruire immagini indelebili nel nostro immaginario.



martedì 28 luglio 2020

27 AGOSTO - SERATA MEDITATIVO-LETTERARIA CON MIRNA GRASSO



Tema pianeta Terra.
ciascuna potrà portare un brano o una poesia che lo racconti, o anche qualcosa di autoprodotto se qualcuna è ispirata!
Lettura e meditazione dovrebbero facilitarci un po' la connessione con la madre terra in una sorta di preghiera laica (o anche religiosa, in base alla sensibilità di ognuna) a sostengo nostro, del pianeta e di tutti i suoi abitanti.

giovedì 23 luglio 2020

SETTIMO COMPLEANNO CON BECOMING MICHELLE OBAMA - 22 SETTEMBRE 2020





con la partecipazione speciale di ANNA MARIA SAIANO, agente consolare USA di Genova


Stati Uniti d’America
Stati Uniti d’America
Stati Uniti d’America
Annamaria Saiano 


Anna Maria Saiano

Genovese, laureata in lingue all’università di Genova. Docente di Lingua e letteratura Americana, da sempre coltiva le relazioni tra Stati Uniti e Italia. Agente consolare degli Stati Uniti a Genova dal 1993.


Le memorie della moglie di Barack Obama sono tutte qui, in questo volume, intitolato Becoming – La mia storia, edito in Italia da Garzanti. Nelle pagine di Becoming di Michelle Obama sono condensati gli anni vissuti da First Lady, sotto gli occhi di tutto il mondo, e quelli trascorsi semplicemente come Michelle, come donna, avvocato, moglie di Barack, mamma di Sasha e Malia. 


Becoming di Michelle Obama, l’autobiografia della First Lady è su iBookStore

“Da First Lady degli Stati Uniti d’America – la prima afroamericana a ricoprire questo ruolo – ha contribuito a creare la Casa Bianca più accogliente e inclusiva della storia, diventando una energica sostenitrice della causa delle donne e delle ragazze negli Stati Uniti e nel resto del mondo, modificando radicalmente il modo in cui le famiglie possono vivere una vita più sana e attiva, e restando al fianco del marito mentre guidava l’America attraverso alcuni dei suoi momenti più difficili”.

E’ proprio così, come viene ricordata dalla redazione di iBookstore, Michelle Obama. E il suo libro è davvero la sua storia: Michelle aprirà il suo mondo ai suoi lettori, racconterà loro le esperienze che l’hanno formata, gli impegni sul lavoro e come madre, i retroscena del periodo trascorso alla Casa Bianca.Becoming di Michelle Obama, l’autobiografia della First Lady è su iBookStore

Becoming di Michelle Obama si propone di essere molto più di un’autobiografia, ma uno sguardo – inedito e intimo – dentro la vita privata e pubblica di una delle donne che è già una delle icone di questo tempo, un esempio da seguire, una donna capace di ispirare e su cui molti ancora contano, auspicando, magari un giorno, di vederla al posto di Barack Obama.



mercoledì 17 giugno 2020

22 LUGLIO - I RAGAZZI DELLA NICKEL DI COLSON WHITEHEAD

Centro Balneare della Polizia di Stato di Genova Quinto



I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead (Mondadori). Concepito per un’America chiamata a confrontarsi con il suo presente e la storia più recente, ispirato a una storia vera, lascia emergere punti di vista e prospettive altrimenti inascoltate su razzismo e adolescenza negata.

Dobbiamo credere nel profondo dell’anima che siamo qualcuno, che siamo importanti, che meritiamo rispetto, e ogni giorno dobbiamo percorrere le strade della nostra vita con questo senso di dignità e di importanza.
(Martin Luther King)
Colson Whitehead, I ragazzi della Nickel
I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead è un romanzo concepito per un’America chiamata a confrontarsi con il suo presente e la storia più recente. Il destinatario appropriato è il lettore americano. Di ciò ci si rende conto scorrendo le numerose recensioni nella pagina Amazon dell’edizione originale. Il romanzo, infatti, lascia emergere voci – punti di vista e prospettive altrimenti inascoltate.
Non mancano, de relato, rilevanti implicazioni per il lettore europeo, anch'egli invitato a entrare nel merito delle vicende denunciate.
Teatro degli eventi è un istituto della Florida attivo dal 1900.
Un riformatorio dove il delinquente minorile, separato dai complici malvagi, possa ricevere una preparazione fisica, intellettuale e morale, venire riabilitato e reintegrato nella comunità con intenzioni e carattere adatti a un buon cittadino, a un uomo rispettabile e onesto con un mestiere o un’occupazione qualificata che gli permettano di mantenersi.
Colson Whitehead, I ragazzi della Nickel

In realtà si rivela essere un ambiente in cui si perpetrano delitti contro la dignità e la vita di chi vi è confinato, in particolare degli ospiti di colore, puniti in maniera brutale alla minima infrazione. 

Chi non sopravvive è seppellito in quella che viene nominata la «collina degli stivali».
I ragazzi sapevano di quel luogo maledetto. C’era voluta una studentessa della University of South Florida per mostrarlo al resto del mondo, decine di anni dopo che il primo ragazzo era stato infilato dentro un sacco di patate e scaricato lì.
Colson Whitehead, I ragazzi della Nickel

I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead è la storia dello sfortunato Elwood Curtis. Intelligente e intraprendente ragazzo di colore, interiorizza le idee di Martin Luther King e sogna un’America più aperta ed evoluta, libera, priva di barriere di tipo razziale. 

Militante dei diritti civili, ha l’avvenire nelle sue mani, conta di andare al college, di riuscire nella vita. Probabilmente non crede possibile che vi sia ancora molto, troppo da lottare, ma l'impraticabilità di alcune esortazioni di M.L.King mettono a dura prova il suo entusiasmo:
Metteteci in prigione, e noi vi ameremo ancora… Ma state certi che vi logoreremo con la nostra capacità di sopportazione, e un giorno conquisteremo la libertà. E la conquisteremo non solo per noi stessi: appellandoci al vostro cuore e alla vostra coscienza conquisteremo anche voi, e la nostra vittoria sarà una doppia vittoria.
Colson Whitehead, I ragazzi della Nickel

Accusato ingiustamente – ha accettato un passaggio da un ladro d’auto - è accolto alla Nickel Accademy, un riformatorio del Sud. 

Si trova, insomma, nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Non perde tuttavia la speranza. Seguire le regole evitando i guai è, per lui, la via d’uscita più ragionevole.
Chi vi è entrato non ha molte opportunità: scontare la pena, attendere un provvedimento favorevole del tribunale, tentare la fuga, morire. O scoperchiare un universo di violenza e di corruzione,  sconfiggere un nemico di fatto invincibile e subdolo. Un'iniziativa simile al “meccanismo” messo in moto da Rosa Parks, la donna di colore che, su un autobus, si sedette occupando un posto riservato ai bianchi: è il 1955, otto anni dopo la Dichiarazione Universale dei diritti umani.


Elwood è fiducioso di ricevere alla Nickel l’istruzione superiore alla quale non intende rinunciare. L’ottimismo andrà deluso.

I ragazzi della Nickel è pure la storia di Turner, più concreto e meno idealista del suo compagno, a tratti cinico. 

Il punto di vista si sposta tra l’una e l’altra voce, in modo da consentire il dialogo tra le due anime del romanzo, la sognatrice e la realistica.
Si denunciano gli strascichi di un apartheid messo anzitempo sotto-vetro, ma rinsaldato dai numerosi episodi a sfondo razzista. Come si è detto, non si chiama in causa solo il mondo statunitense, il discorso coinvolge in larga scala i contesti e le realtà più diverse e la società umana nel suo complesso.


I temi affrontati oltrepassano gli aspetti razziali. Si parla infatti dell’adolescenza, di ragazzi difficili alla ricerca di una propria identità, costretti a maturare a seguito di un incidente di percorso e a dover affrontare pregiudizi lungi dall'esaurirsi. Viene, con ciò, scandagliato il destino di chi, afroamericano, è intrappolato da dinamiche, corsi e ricorsi storici irrisolti.
Ispirato a una storia vera (quella della Dozier School for Boys), quel che ha spinto Colson Whitehead a scrivere I ragazzi della Nickel, è ben espresso dallo stesso in una recente intervista:
I was struck by the absence of black voices. It was a predominantly black campus and most people they interviewed were not black. That was part of the impetus to write the book, imaging myself into their stories and imagining what black students went through.
Powell's Interview: Colson Whitehead, Author of 'The Nickel Boys'

mercoledì 20 maggio 2020

16 GIUGNO - CAMBIARE L'ACQUA AI FIORI - DAL VIVO FINALMENTE!

scalinataborghese.it


Un lettore ha scritto su internet che è il romanzo più bello del mondo. Capisco il suo entusiasmo. Cambiare l'acqua ai fiori di Valérie Perrin è un libro raro. Buio e luminoso. Sentimentale e musicale («Se ti piace un cantante, a forza di cantarne le canzoni acquisisci quasi un legame di parentela»). Freudianamente gotico («I soli fantasmi a cui credo sono i ricordi, reali o immaginari che siano»). È un romanzo anche bislacco, a cominciare dal cognome della protagonista, Violette Touissant (in Francia significa chiamarsi come il giorno dei Morti), e dalla sua professione (guardiana di un cimitero, dopo essere stata custode di un passaggio a livello). Pieno di personaggi bizzarri ( come il becchino che si fa chiamare Elvis Presley, il suo idolo non soltanto canoro, e che battezza i gatti del camposanto con i titoli delle hit di The Pelvis: Spanish Eyes o Tutti frutti). Una Spoon River in cui Violette lustra la tomba di Anna Lave e Benjamin Dahan, la coppia più bella del cimitero, tiene il diario delle esequie («pioggia torrenziale... Centoventotto persone presenti alla sepoltura»), riceve e consola gli afflitti parenti con grappa di prugna, si commuove per una rivista con Johnny Halliday in copertina lasciata in una bara per ultima compagnia. Violette è orfana, sente di essere stata adottata da un libro, Le regole della casa del sidro di John Irving, l'unico romanzo letto (forse senza mai finirlo) in vita sua. Cambiare l'acqua ai fiori è una cavalcata di storie d'amore (disperate soprattutto), corale come un film di Lelouch. A volte è una commedia sofisticata, a volte «una commedia all'italiana senza la bellezza degli italiani». Alla fine è una grande tragedia, la più grande (raccontata come un noir di Boileau & Narcejac). I romanzi di cui ci s'innamora, scrive Valérie Perrin, si chiudono «col cuore pesante». Succede con questo libro. Ha ragione l'ignoto lettore: è il romanzo più bello del mondo. E merita un doppio voto. 10 + 10

mercoledì 29 aprile 2020

19 MAGGIO - ZOOM MEETING LESSICO FAMIGLIARE DI NATALIA GINZBURG

Quella di Natalia è una famiglia mediamente benestante, composta dai genitori, i quattro fratelli maggiori e lei stessa: il padre, biologo, è professore universitario e ha ottenuto una cattedra a Torino, dove la famiglia frequenta amici del mondo scientifico, culturale e imprenditoriale. Appassionato di montagna, il capofamiglia ha un animo inquieto, ma in fondo sembra avere solo due preoccupazioni: il futuro dei figli e l’andamento in borsa delle Immobiliari. Sa mantenere il sangue freddo, invece, quando ospita nella sua casa l’antifascista Filippo Turati, in fuga dall’Italia del Ventennio mussoliniano.
E mentre gli oppositori apertamente ostili alla dittatura diventano sempre più rari, la madre esce di casa ogni giorno dicendo “vado a vedere se hanno buttato giù Mussolini”. Ogni tanto il padre o qualcuno dei figli maggiori, nessuno dei quali fa mistero delle proprie opinioni politiche, viene arrestato per cospirazione; la madre si rassicura per il fatto che tra gli arrestati ci sono anche Carlo Levi, Giulio Einaudi, Vittorio Foa, Cesare Pavese: “gente adulta, per bene e famosa”. Dopo le perquisizioni e gli arresti per attività antifascista, arrivano le leggi razziali e le persecuzioni, poi le bombe della Seconda Guerra Mondiale, che lasceranno segni indelebili su ciascuno di loro.

Anna Parodi, autrice di Dintorni, ci racconta del suo amore per questo libro.

https://books.google.it/books/about/Dintorni.html?id=CgrZDwAAQBAJ&printsec=frontcover&source=kp_read_button&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

lunedì 27 gennaio 2020

LA BAMBINA DI NEVE DI EOWYN IVEY - IL PRIMO NOSTRO ZOOM MEETING


Una notte fatata porta la prima neve dell'anno. Stregati dai fiocchi che volteggiano nell'aria, Jack e Mabel costruiscono un pupazzo. Una bimba di neve. Che il mattino dopo misteriosamente scompare. Al suo posto, forse, una bimba bionda che corre nei boschi. Una bimba selvaggia che di tanto in tanto torna a trovarli. Una presenza struggente nelle terre estreme d'Alaska.

Sneguročka (in russo: Снегурочка) o Snegurka (cirillico: Снегурка), ovvero la "Fanciulla di Neve" o "Nevina" (russo: sneg = "neve") è un personaggio del folclore russo, che si ritrova in varie fiabe e leggende popolari. A partire dall'epoca sovietica, tale figura è stata associata anche al periodo natalizio, e al Capodanno in modo particolare, dove compare come nipote del portatore di doni Nonno Gelo (Ded Moroz).
Il personaggio, riconducibile probabilmente a credenze pagane degli antichi Slavi, divenne popolare nel XIX secolo grazie ad un'opera teatrale di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij. Alla figura di Sneguročka sono state dedicate opere teatrali e musicali, film, ecc.
Sneguročka viene descritta come una bella ragazza dai capelli biondi a treccia, che porta un vestito azzurro bordato di pelliccia.
Secondo la leggenda, Sneguročka sarebbe la figlia della Primavera e dell'Inverno e fa la propria comparsa d'inverno, per poi fare ritorno nel lontano nord durante l'estate. A lei è impedito di amare: se dovesse innamorarsi, il suo corpo si scioglie come la neve.
Come accompagnatrice di Nonno Gelo, vive insieme a lui a Velikij Ustjug e distribuisce regali ai bambini a bordo di una slitta.
Una leggenda racconta che Sneguročka era la figlia di due persone che non riuscivano ad avere figli e, per questo motivo, decisero di "fare" una figlia con della neve. Un giorno, Sneguročka, che d'estate si sentiva sempre triste, andò in un bosco con altre ragazze per raccogliere dei fiori; le ragazze accesero poi un falò, attorno al quale si misero a saltare: lo fece anche Sneguročka, che però si sciolse diventando una nuvola

venerdì 10 gennaio 2020

21 GENNAIO 2020 - OPINIONI DI UN CLOWN - HEINRICH BOLL



Lasciato dalla donna con cui conviveva per motivi legati alla morale cattolica il pantomime Hans Schnier subisce un crollo psicologico che comporta anche al suo declino artistico. Scettico nei confronti dei compromessi e delle convenzioni sociali, Schnier, figlio di una famiglia molto ricca, preferisce, davanti all'esperienza dell'abbandono e alle delusioni professionali, continuare a vivere come un clown onesto piuttosto di diventare un ipocrita. Il racconto del protagonista copre un arco di poche ore, continuamente interrotte da ricordi che alla fine diventano una forte accusa contro la famiglia, la società e la chiesa, filtrata da un'ironia spesso amara e provocatoria.

Leggendo le "Opinioni di un clown" (1963) in cui Böll esprime una critica molto aspra sullo stato morale della società tedesca del dopoguerra, possono venire in mente due immagini: la prima è quella del buffone di corte, quella figura presente nelle corti medievali che aveva il compito di divertire il sovrano in tutti i modi, compreso il diritto di dirgli in faccia anche le verità più scomode e persino di offenderlo. E il clown di Böll non risparmia ai suoi interlocutori le verità scomode spesso al limite dell'offesa. Ma il Hans Schnier, il personaggio creato da Böll, è un clown che non diverte più, è un uomo disperato sull'orlo di un fallimento personale e professionale.

Tutto il romanzo si concentra nello spazio di una serata, in una serie di incontri e telefonate con cui il pantomime Hans Schnier cerca di trovare soldi e soprattutto informazioni su dove si trovava la sua amata Maria che vuole riavere a tutti i costi. Ma nonostante l'aggressività verbale e la sfrontatezza con cui affronta le persone, Hans non è per niente una persona aggressiva: "io sono un povero diavolo molto semplice, sincero e privo di complicazioni" si autodefinisce. E una delle persone con cui litiga gli dice: "La cosa più grave è che lei è un innocente, vorrei dire quasi un puro".

La seconda immagine evocata dal clown è il bambino: il clown è puro, innocente e sincero come un bambino. "Siate come i bambini e il paradiso sarà vostro", disse Gesù. Da una parte il romanzo rappresenta la critica più dura della Chiesa cattolica che Böll ha mai espresso, dall'altra parte questa critica viene espressa da un personaggio, il clown, che pur essendo né cattolica né protestante, nelle sue opinioni è sempre profondamente cristiano. Nei suoi tentativi di riavere Maria è testardo come un bambino, niente lo fa infuriare di più dei ripetuti consigli del tipo: "Cerca di farti una ragione e comportati da persona adulta" che sente da tutte le parti. Con una certa autoironia il clown dice di se stesso: "Il più terribile dei miei mali è la predisposizione alla monogamia". Vuole Maria e nessun'altra. Accusa l'ambiente cattolico che Maria frequentava di averla portata via da lui e di averla condotta all'"adulterio" sposando un'altro, uno che è ben radicato nella gerarchia cattolica.

Hans è figlio di una delle famiglie più ricche e potenti della Renania degli anni 60 del secolo scorso e in questo ambiente trova altri obiettivi per le sue accuse: si ricorda perfettamente il passato nazista delle persone con cui parla e che in quell'epoca è ancora molto vicino, e non è disposto né a dimenticare né a perdonare. Questi ricordi attraversano tutto il romanzo, lo fanno diventare un’accusa molto dura contro gli opportunisti e i falsi convertiti che si trovano anche nei ranghi più alti della società.

Le opinioni del clown sono di un moralismo incorruttibile e intransigente, ma in quanto clown Hans rimane un accusatore isolato e disperato. Quando, alla fine, non riesce né a trovare soldi per la sopravvivenza, né un modo per ritrovare la sua amata Maria si dipinge come un clown e si mette seduto a terra davanti alla stazione centrale di Bonn mendicando e cantando canzoni religiose.

Una fine atroce e disperata, ma proprio per questo una condanna senza appelli della società bigotta e falsa degli anni del cosiddetto “miracolo economico” della Germania. Questo romanzo di Böll del 1963 è forse il più aspramente discusso, ha trovato critiche durissime, non solo negli ambienti politici e cattolici, ma anche in quelli letterari. Da all’altra parte ha suscitato anche molti consensi: il libro è tra quelli più venduti di Böll e dal libro è stato tratto anche un film di successo.