mercoledì 13 novembre 2024

21 GENNAIO 2025 - "DUE" DI ENRICO BRIZZI PRESSO CAFFE' CAMPETTO VICO SAN MATTEO 17R

 Siamo nell’anno domini 1992, in una calda Bologna di inizio estate. Finite le lezioni presso l’odioso liceo classico Caimani – dove gli insegnanti di “letteremorte” odorano di muffa e anche le bidelle assomigliano a guardie pretoriane – Alex D. è in piena bufera esistenziale.

La ragazza che ama, Adelaide – detta Aidi – è appena partita per uno scambio culturale nella lontana Pennsylvania (Usa). Ci rimarrà un anno. Lo strappo è forte e lo sta dilaniando. Sono stati mesi duri quelli che Alex si è lasciato alle spalle, pregni di avvenimenti dolorosi e sconvolgenti. La perdita di Martino, compagno di scuola e amico fidato, morto suicida sotto il peso di una quotidianità cui non sapeva dare un senso, lo ha segnato nel profondo.

È il momento giusto per schiodarsi dal divano, smettere di fissare il soffitto e lanciarsi in un interrail – sogno proibito della sua generazione – per le vie di un’Europa che sta ridisegnando la propria geografia, in rinnovato fermento dopo il crollo del muro di Berlino. Non può mancare all’appello il gruppo in cui orgogliosamente milita: Alex è il bassista delle Anatre di Central Park, una band “post-punk con venature ska e new wave. In pratica un cross over” con l’ambizione di affermarsi sulla scena underground e di realizzare un feat con Manu Chao.

È questo l’avvio di Due, sequel di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, il piccolo gioiello pubblicato dalla casa editrice Transeuropa che nel 1994 lanciò il diciannovenne Enrico Brizzi, dando l’abbrivio alla sua carriera: un “Giovane Holden” in salsa emiliana presto diventato iconico sia per l’uso sperimentale postmodernista della lingua, che impastava slang giovanile e dialetto, cultura pop e tradizione, sia per l’efficacia della rappresentazione del mondo degli adolescenti.

Due è il racconto della vita di Alex e Aidi durante la lunga stagione del loro “arrivederci”: una storia di amicizia, famiglia, affetti, incontri importanti e insperati. Il tutto sulle note di una fantastica colonna sonora che riunisce il meglio della musica suonata in quegli anni. È proprio il caso di dirlo – qui la musica non è un semplice sottofondo contestualizzante: è essa stessa parte del narrare, entra nella prosa attraverso rimandi continui, citazioni, riferimenti multisensoriali.

Due è un romanzo che – in virtù di un uso “alternativo” della punteggiatura che abbatte le differenze tra registro scritto e comunicazione orale – si presta moltissimo a essere recitato a voce alta: del resto Brizzi ha sempre amato i reading letterari e in questi giorni sta girando con l’accompagnamento di alcuni musicisti per festeggiare i trent’anni del suo libro d’esordio.

Due piacerà a chi ha amato Jack Frusciante, a chi nel 1994 si è immedesimato nei teneri approcci alla vita adulta dei protagonisti, a chi ha pianto sulla morte insensata di Martino – anima bella e tormentata – e a chi ha percepito il profumo del vento che scompigliava i capelli “del nostro”a cavallo della bicicletta, mentre dalla “Saragozza avenue” si inerpicava per i colli bolognesi, in cerca di intimità con Aidi.

Due sono anche le voci in campo: Adelaide – che confida le sue insicurezze a un diario – e Alex che raccoglie su supporto magnetico il resoconto del suo vivere fuori dagli schemi.

A fare da contrappunto, qua e là compare il narratore esterno: un cantastorie che, con affetto, segue i ragazzi, li scruta silenziosamente, a volte un po’ ne compatisce la goffaggine o l’inesperienza, non lesinando commenti che fanno sentire il lettore, cui si rivolge direttamente, coinvolto nella piega che stanno prendendo gli eventi.

Il sequel è coerente e non fa rimpiangere l’opera cui si aggancia, la completa e anzi la valorizza. Il finale prescelto non cerca una morale facile, è quello più funzionale alla riflessione sul senso dello scrivere che permea il percorso esistenziale di Alex e forse anche del suo ideatore.

Non mancano i rimandi alla letteratura e alla poesia, da e.e. Cummings ad Arthur Rimbaud, passando per Robert Frost e Henry David Thoreau, amalgamati sotto forma di dialoghi o flussi di coscienza: sono pennellate preziose, che ci restituiscono la tridimensionalità degli attori in scena, incompleti come sanno essere i giovani (lo diceva pure Italo Calvino), ma non per questo privi di sfumature dell’anima e profondità di ragionamento.

Concepire un “secondo tempo” – che raccontasse la storia di Alex e Aidi “cresciuti”, i fallimenti sentimentali e professionali, le amicizie troncate o coltivate, le occasioni perse e i successi ottenuti – avrebbe avuto un che di scontato: Enrico Brizzi non è banale e si tiene lontano dalla tentazione del romancee dai toni esageratamente nostalgici.

Sosteneva John Lennon che “la vita è quello che ti succede mentre sei occupato a fare altri progetti”: Brizzi tiene la barra dritta rispetto al plot originario e sceglie di mettere su carta – al posto delle inevitabili amarezze di un quarantenne – la bellezza imperfetta dell’adolescenza. Un tempo e un luogo sospeso, disseminato di montagne russe emotive, in cui tutte le prospettive restavano aperte e la distanza tra il dolore più inconsolabile (quel “double–decker bus”che ti stritola per lo struggimento, di cui cantava Morrissey) e il desiderio di tornare a essere felice (l’inno I Will Survive di Gloria Gaynor) era proprio questione di un attimo.

Brizzi è nato a Bologna nel 1974 ed è autore di numerosi romanzi e racconti. Il suo esordio nel 1994 (Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Finalista Campiello 1995, Premio Bergamo 1995, Premio Fregene Giovani 1996) – tradotto in oltre venti Paesi – è diventato un caso editoriale che ha influenzato un’intera generazione. La successiva produzione è quanto mai eterogenea: va dalla saggistica alla biografia, passando per la regia cinematografica, la musica e i resoconti di viaggio, a piedi e in bicicletta.

Il libro in una citazione
«Nel tardo giugno dell’anno domini uno nove nove due – da qui si riparte – il vecchio Alex giaceva in ruina, ridotto all’ombra tardo-adolescenziale di se stesso. Non filava più come il vento, puvràtt, e nemmeno osava azioni timide alla moviola; sospirava spento e nascosto al mondo, ecco cosa, nella penombra della sua cameretta a casa D., in fondo alla Saragozza avenue di Bologna.»



lunedì 11 novembre 2024

10 DICEMBRE - NATALIZIA DEL CLJA PRESSO CAVALIER MARINO

12 NOVEMBRE - LA NEVE IN FONDO AL MARE DI MATTEO BUSSOLA

PRESSO IL POZZO JAZZ CLUB

- Scoprire la profondità della tristezza di un figlio, a neanche sedici anni, è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato. In cui proprio non dovrebbe esserci.
- Che vuoi dire?
- Tipo, non so. Come trovare la neve in fondo al mare.

Matteo Bussola racconta un nodo del nostro tempo: la fragilità adolescenziale. Scrive una storia toccante, piena di grazia, sul tradimento che implica diventare sé stessi. E ci mostra, con onestà e delicatezza, quel che si prova davanti al dolore di un figlio, ma anche la luce dell’essere genitori, che pure nel buio continua a brillare. Perché è difficile accogliere la verità di chi amiamo, soprattutto se lo abbiamo messo al mondo. Ma l’amore porta sempre con sé una rinascita.

Un padre e un figlio, dentro una stanza. L’uno di fronte all’altro, come mai sono stati. Ciascuno lo specchio dell’altro. Loro due, insieme, in un reparto di neuropsichiatria infantile. Ci sono altri genitori, in quel reparto, altri figli. Adolescenti che rifiutano il cibo o che si fanno del male, che vivono l’estenuante fatica di crescere, dentro famiglie incapaci di dare un nome al loro tormento. E madri e padri spaesati, che condividono la stessa ferita, l’intollerabile sensazione di non essere più all’altezza del proprio compito. Con la voce calda, intima, di un padre smarrito, Matteo Bussola fotografa l’istante spaventoso in cui genitori e figli smettono di riconoscersi, e parlarsi diventa impossibile. Attraverso un pugno di personaggi strazianti e bellissimi, ci ricorda che ogni essere umano è un mistero, anche quando siamo noi ad averlo generato.


 

2 OTTOBRE - IL COGNOME DELLE DONNE - AURORA TAMIGIO

 PRESSO LA MANDRAGOLA RISTORANTE 

 "Il cognome delle donne" ha conquistato il pubblico e la giuria del Bancarella ottenendo ben 185 preferenze, staccando nettamente gli altri cinque finalisti. Tra questi, "La casa delle sirene" di Valeria Galante (Mondadori) con 88 preferenze, "L'Iliade cantata dalle dee" di Marilù Oliva (Solferino) con 84 preferenze, "L'inventario delle nuvole" di Franco Faggiani (Fazi) con 81 preferenze, "Tangerinn" di Emanuela Anechoum (e/o) con 66 preferenze e "Selvaggio Ovest" di Daniele Pasquini (NN Editore) con 60 preferenze. Il plebiscito di Tamigio bissa la vittoria di un'altra donna, Francesca Giannone, autrice de "La portalettere" (Editrice Nord) vincitrice dell'edizione 2023. E proprio Giannone è stata la presidente del Premio Bancarella 2024, che a Pontremoli ha presentato il suo secondo romanzo "Domani, domani" (Editrice Nord).